di Giovanna Russo, sommelier e degustatore Ais

Vini naturali? Trend del momento o espressione di un più vasto mutamento sociologico e culturale che vede un ritorno dell’uomo alla natura e all’essenziale? Me lo chiedevo, ancora una volta, mentre mi aggiravo un po’ disorientata lungo le file dei banchi dei produttori presenti alla rassegna Vini di Vignaioli che si tiene, ormai da ben sedici anni, a Fornovo.

La location è un grande capannone spartano che dà subito l’idea di una kermesse riguardante vini senza fronzoli ma dalla forte personalità. Davvero significativa l’affluenza del pubblico, fatta di gente del settore ed appassionati; un contesto in cui tutti, uomini, vini e cibi cercano di presentarsi “nella maniera più naturale possibile”.

In occasioni come questa, cibo e vino diventano veri e propri catalizzatori di una genuina convivialità scevra di formalismi e danno la stura a momenti di confronto e di scoperta di viti e di vite che si intrecciano, di saperi e sapori che affondano nella tradizione.

Più di cento le aziende vitivinicole presenti alla manifestazione, la quale fa del non utilizzo della chimica e degli additivi aggiunti il proprio manifesto programmatico. Oltre che ai vini naturali, l’evento dedica uno spazio anche ad alcuni prodotti e pietanze tipiche di varie regioni consentendone la degustazione in loco.

Ed è in questo angolo che ho avuto modo di fare alcuni incontri e assaggi davvero interessanti.

Trascinata da un profumo intenso di cibi e cucina come un marinaio dal canto delle sirene, mi sono ritrovata verso la fine della zona food del capannone, davanti a cotechini e salami in bella vista. Dietro al bancone un omone col grembiule a righe intento ad affettare la “cicciolata” e a vigilare sul contenuto di pentoloni fumanti colmi di succulente ghiottonerie. Accanto il cartello “Bocchi – Salumi (Emilia Romagna)”.

Penso che non esiterete a credermi se vi dico che fame e salivazione sono cresciute di botto, smodatamente, di fronte a quella che sembrava una celebrazione della genuina bontà dell’unione di carne e grasso. Non resisto alla tentazione: ordino un piatto di cotechino e cappello del prete con contorno di purè di patate. Nell’attesa che arrivi mi accomodo in una tavolata a cui partecipano altri goduriosi commensali.

I due più vicini mi offrono da bere. Riempiono il mio calice di un vino di un bel rosa chiaretto e iniziamo a conversare partendo proprio da esso. Mi spiegano che si tratta di una chicca nell’ampio mondo dei lambruschi, in quanto ottenuto da una particolare varietà di lambrusco modenese, noto come lambrusco di Fiorano o lambrusco del pellegrino. Il produttore è Claudio Plessi, viticoltore biologico, “certificato e garantito”, dedito al recupero di vecchi vitigni e alla verifica delle loro caratteristiche enologiche … mi rendo conto che i miei due interlocutori conoscono benissimo la sua filosofia produttiva, la sua azienda e i suoi vini.

La leggerissima opalescenza di questo lambrusco mi intriga e mi spinge a scoprirne profumi e gusto. Al naso è un tripudio di melagrana e di piccoli frutti rossi (lamponi, ribes e fragolina di bosco), di rose e geranio, con sullo sfondo una sottile nota silvestre. All’assaggio è fresco e di buon corpo. È un vino che rientra non solo nella categoria dei vini non filtrati ma anche in quella dei cosiddetti vini “col fondo” ottenuti con il metodo ancestrale. Trattasi di una tecnica di vinificazione il cui nome richiama alla mente metodiche antiche e lontane, riscoperta negli ultimi anni per i vini frizzanti e per il prosecco. Consiste nell’imbottigliare il vino con i propri lieviti quando ancora l’alcol non è stato del tutto svolto. In tal modo, all’interno della bottiglia si avvia un’ulteriore fermentazione che porterà alla creazione di vini che presentano un diverso e particolare profilo sensoriale. Vini che trovano il loro punto di forza in quello che potrebbe sembrare un loro cedimento, una debolezza (fecce e sedimenti); vini di una semplicità non banale ma che affascina e cattura.

Ci servono i piatti caldi e fumanti: il cotechino è di una straordinaria morbidezza quasi cremosa, perfettamente in linea col detto lombardo

El bun cudeghin el va mangià col cugiarin

il cappello del prete si scioglie in bocca lasciando una piacevole patinosità.

L’abbinamento con il lambrusco di Fiorano di Plessi si rivela perfetto: la freschezza del vino e le sue spumeggianti bollicine rinfrescano e preparano la bocca all’assaggio successivo. Finire l’ultimo boccone è stato come interrompere bruscamente una intensa sequenza di piacere.

Nel frattempo ascolto i due commensali che si confrontano su esperienze di degustazioni di vini italiani e francesi con la scioltezza e la padronanza di chi sa bene di cosa sta parlando e non sciorina conoscenze episodiche e limitate. Scopro poco dopo che uno dei due è Massimo Zanichelli, wine writer, degustatore e documentarista, nonché curatore per anni della celebre rubrica sul vino del settimanale l’Espresso: da lì a poco avrebbe presentato, proprio nel corso della fiera Vini di Vignaioli, il suo ultimo suo libro, Effervescenze – storie e interpreti di vini vivi. L’altro … è Chichibio, cronista gastronomico curatore della rubrica Il ristorante di Chichibio sulla Gazzetta di Parma nonché collaboratore, tra le altre, della guida I ristoranti d’Italia de l’Espresso oltre che di DiWineTaste.

Prima di salutarci mi fanno assaggiare dei salumi particolari che hanno ordinato: lo strolghino e la testa in cassetta; il tutto sempre prodotto dal salumificio Bocchi, una piccola azienda di Fornovo a conduzione familiare, dedita alla lavorazione artigianale delle carni di maiale che vengono accuratamente selezionate sulla base di elevati standard di qualità e genuinità. Dello strolghino e della testa in cassetta non conoscevo neppure l’esistenza!

Il primo è un salame tipico delle provincie di Piacenza e Parma le cui carni, macinate grossolanamente, si ottengono dalla rifilatura del culatello. Matura per soli quindici giorni… a dir poco straordinario.

La testa in cassetta è invece un impasto di carni della testa cotte ed aromatizzate con grappa e limone e poste a raffreddare in apposite cassette, da cui deriva il nome del salume.

Squisitezza finale: un assaggio di spongata, dolce tipico molto diffuso in Emilia ripieno di miele, frutta secca e candita; in quel momento penso che Epicuro sarebbe stato fiero di me!

Concludo l’esperienza enogastronomica buttando giù l’ultimo sorso di lambrusco. Saluto e mi dirigo nuovamente tra i banchi dei vini naturali per continuare le mie degustazioni. Torno a casa soddisfatta dell’evento, degli incontri e degli assaggi, con in mano il libro di Zanichelli e la voglia di iniziare subito a leggerlo. Ne divoro immediatamente i primi capitoletti: le storie degli uomini di vino scorrono fluide, intrecciandosi a spiegazioni su territori, modalità produttive, stili, storie dei vini e dei vitigni.

Un libro manifestamente frutto di un meticoloso lavoro di approfondimento oltre che di una profonda esperienza sul campo ma che, per la sua scioltezza narrativa, si presenta “leggero” e appassionante.

Viva i vini vivi, i cibi genuini, gli uomini veri!