Nell’opera la Bohème, quattro giovani, un po’ squattrinati, brindano alla vigilia di Natale con del Bordeaux. Brindano a casa e mangiano fuori… segno che il vino era comunque piuttosto costoso da consumarsi al ristorante…

 Sulle orme di questi scanzonati bohémien noi invece abbiamo partecipato a un bellissimo incontro con il Professor Luigi Moio che, sabato 26 novembre, presso AIS Milano, ci ha condotto in quello che è stato definito Un fantastico viaggio sensoriale dedicato all’aromaticità dei grandi rossi di Bordeaux.

Su Luigi Moio c’è poco da dire: professore di Enologia presso l’Università Federico II a Napoli, Presidente di OIV (Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino), è una delle eccellenze italiane di cui certamente ci possiamo vantare. Immensamente simpatico,  abbiamo passato quattro ore in un attimo, una vera lectio magistralis imperdibile! E infatti la sala era davvero strapiena di un pubblico veramente attento e curioso.Francia: senza dubbio l’ordine e la chiarezza comunicativa sono elementi vincenti del vino d’Oltralpe. Grande rispetto poi dei produttori per la classificazione del 1855. Nessun produttore del Rouissillon si metterebbe a denigrare i grand cru. I grandi terroir fanno da traino a tutto il resto. Mi piace qui fare un’altra citazione. Nel film “Fra Diavolo” di Stanlio e Ollio, una delle scene più divertenti è quando si ubriacano entrambi. Indovinate cosa bevono? Uno Château Lafite del 1729!

Mai come a Bordeaux l’uomo è stato fondamentale. Qui non è il terroir – almeno non solo, ma la capacità dell’uomo di interpretare il territorio, di fare dell’assemblaggio un’arte raffinatissima.

Bordeaux attraversata dal 45° parallelo, Bordeaux che diventa colore, Bordeaux che è sede del più importante Istituto di Enologia del mondo. Clima oceanico, tuttavia l’umidità è frenata dalle foreste a sud. E tutti gli Château sono sempre circondati da un piccolo boschetto, come abbiamo visto nel corso della degustazione. La produzione è conteggiata in casse (da 12).

Il nostro viaggio comincia dal Médoc, la riva sinistra della Garonne. Suoli pietrosi, molto filtranti. Le pietre riscaldano e quindi prevalenza di cabernet sauvignon, circa il 75%. Seguono il merlot, il cabernet franc e il petit verdot.

A destra della Dordogne invece i suoli sono poco ciottolosi, più argillosi, adatti al merlot quindi, che a Pomerol e a Petrus viene lavorato praticamente al 100%.

E adesso parliamo dei vitigni.

Il merlot è un vitigno precoce che ha bisogno di suoli freschi per non rischiare di essere scottato dal sole, non resiste troppo all’invecchiamento perché tende all’ossidazione: è insomma molto delicato. Dà più colore ma è meno tannico rispetto al cabernet franc, dona una maggior dolcezza e il tipico gusto di piccoli frutti rossi e neri, prugna e talvolta fico, violetta, rosa, tabacco, cacao, caffè torrefatto. Si combina perfettamente con il cabernet sauvignon e franc ma nella zona di St. Emilion e Pomerol rimane protagonista assoluto.

Il cabernet sauvignon è più tardivo, più tannico con profumi di pepe verde, peperone verdeliqueriziafoglia di pomodoro stropicciata, ma anche talvolta buccia di patata e baccello di piselli, dona eleganza, struttura e finezza. Ha acini piccoli e buccia spessa: la raccolta deve essere molto attenta perché si corre il rischio di profumi e gusti troppo “verdi”. Insomma poi in bocca troppo pepe verde diventa una caratteristica negativa se non è armonizzata con il gusto dei frutti rossi e balsamico.

Il cabernet franc sta un po’ nel mezzo, dona freschezza, finezza ma anche un gusto mentolato, di caffè di torrefazione e di violetta.

Il petit verdot viene utilizzato per dare colore e struttura perché poi non offre una grande ricchezza aromatica.

A questo punto non resta che degustare i vini, cercando di ritrovare questi profumi e di riconoscere le varie zone. Il Professor Moio è fiducioso sul fatto che d’ora in avanti non avremo più dubbi… Speriamo di avere presto un’altra bella occasione per poter degustare nuovamente questi campioni!

Assaggiamo i vini a due a due, per “memorizzare” meglio le caratteristiche di zona. Seguirò quindi qui la stessa impostazione.

Diciamo subito alcune cose: vini mediocri non ne abbiamo assaggiati. Grande pulizia, ribadita anche da Moio, in tutti i bicchieri.

Quindi si tratta solo di decidere quali di questi profumi e gusti soddisfa di più il nostro palato.

Indubbiamente tutti grandi vini da accompagnare, questo sì, a piatti diversi, a seconda delle sensazioni che ci creano.

 

 

Partiamo con il Médoc, da sud a nord.

Margaux: grande eleganza e raffinatezza. Ingresso morbido e persistenza. Tra i due preferisco il primo più equilibrato e armonico, mentre il secondo risulta più chiuso, più “ostico”.  Entrambi trosième cru classe.

Château Giscours 2013 – 60% cabernet sauvignon, 32% merlot, 5% cabernet franc, 3% petit verdot.
Château D’Issan 2013 – 74% cabernet sauvignon, 26% merlot.
St. Julien: a metà strada fra Margaux e Pauillac, sia del punto di vista geografico, sia del punto di vista gustativo. Cioè tra l’eleganza del Margaux e la potenza del Pauillac. Sinceramente mi sono piaciuti molto: li ho trovati di grande armonia ed equilibrio, di estrema piacevolezza.
Château Beychevelle 2013, 47% cabernet sauvignon, 44% merlot, 4% cabernet franc e il resto petit verdot. Un grandissimo quatrième cru.
Château Gruaud Larose 2013, 62% cabernet sauvignon, 29% merlot, 7% cabernet franc e il resto petit verdot.  Un ottimo deuxième cru classé.

Pauillac: il villaggio più alto nella classificazione e l’aspettativa non viene tradita. Grande potenza, tannino importante, densità e concentrazione.Retrogusto mentolato e grande persistenza. Qui più evidenti la liquirizia e la nota verde.

Château Pichon Longueville Baron  2013, 80% cabernet sauvignon 20% merlot. Un colore davvero impenetrabile che già denota la concentrazione di questo deuxième cru.
Château Pichon Longueville Baron

Château Lynch Bages 2013, 75% cabernet sauvignon, 15% merlot, 10% cabernet franc e il resto petit verdot.  Un cinquième cru che vale, come dice anche Moio, un deuxième, ed effettivamente non fa certo la figura di un vino… meno interessante.

St. Estèphe: sono i vini che mi sono piaciuti meno, anche Moio li definisce più “rustici”, più vicini al Pauillac comunque.
Château Lafon Rochet 2013, 55% merlot, 38% cabernet sauvignon, il resto cabernet franc e petit verdot. Quatrième cru classe. Sanguigno, meno mentolato e dolce; più largo e confettura di frutti rossi.

Château Calon-Ségur 2013, un troisième cru, 53% cabernet sauvignon, 38% merlot, 7% cabernet franc, 2% petit verdot. Con un tannino ancora aspro e meno persistente, un equilibro gustativo non centrato.Passiamo alle Graves.

Graves-Pessac Léognam: qui abbiamo meno frutta e un gusto più “animale”, anche in questo caso come St. Estèphe, tra i meno apprezzati.

Château Pape-Clément 2013, cru classé delle Graves, 60% cabernet sauvignon e 40 % merlot. Un Pauillac più diluito e verde con un tannino ancora astringente
Château Smith Haut Lafitte 2013, 50% cabernet sauvignon, 40% merlot e il restante altri vitigni. Un sentore di liquirizia, piuttosto fresco, erbaceo, peperone. Meglio del precedente ma con presenza di alcol volatile.
Continuiamo ora con la riva destra della Dordogne.
St. Emilion 
Château Canon La Gaffelière  2013, 55% merlot, 40% cabernet franc, poco cabernet sauvignon. Confettura di frutti rossi, largo e morbido in bocca, il tannino è impercettibile, gusto di caramello e cioccolato. Mi è piaciuto molto.
Château Pavie Macquin 2013, 70% merlot, 25% cabernet franc e 5% cabernet sauvignon. Un naso più chiuso e aspro, da tenere ancora in cantina a mio parere.
Pommerol
Château Gazin 2013, 80% merlot, 15% cabernet franc, 5% cabernet sauvignon. Una piacevole nota verde, mano fruttato. In bocca un profondo aroma di caffè, grande struttura e persistenza. Davvero molto buono.Château Beauregard 2013, 80% merlot, 20% cabernet franc. Un naso di cipria, vaniglia, caffellatte. In bocca invece si presenta più mentolato.Finiamo con l’idea di aver passato una mattinata davvero intensa, interessante ed educativa.  Una di quelle degustazioni in cui ti dici “Davvero ne è valsa la pena!”.