Amiche e amici appassionati del buon bere, eccoci con il secondo post dedicato al Vinitaly: Parole di vino vi fornisce una piccola serie di disinteressati consigli per gli assaggi, tratti dal catalogo ufficiale della più grande e importante manifestazione vitivinicola del mondo, in scena a Verona dal 7 al 10 aprile.

Con Road to Vinitaly  avrete una guida ready to use da stampare o tenere a portata di mano sul vostro smartphone. Dopo il primo articolo, che potrete consultare a questo link se lo avete perso, quello di oggi tratterà i padiglioni le cantine presenti nei padiglioni D, 9, 10, 11 e 12. Un terzo – e ultimo – articolo completerà il percorso con le cantine dei padiglioni 3, 5, 6,7 e 8. A questo link potrete visualizzare la mappa ufficiale del Vinitaly, che vi consiglio di stampare.

Ribadiamo le solite avvertenze per i naviganti: in questi articoli non consigliamo i grandi nomi, ma troverete piccoli e medi produttori, salvo qualche eccezione che eventualmente sapremo motivare a dovere, cantine che abbiamo già provato o che intendiamo provare noi stessi. Nota: non abbiamo la certezza che i vini indicati saranno effettivamente in degustazione. Iniziamo!

 

 

Il padiglione D ospita l’International-Wine, con aziende o associazioni provenienti da Francia, Austria, Spagna, Gran Bretagna, Slovenia, Portogallo, Israele, America Latina, Stati Uniti, Sudafrica, Repubblica Domenicana, Hong Kong, Nuova Zelanda, Australia, Croazia, Kosovo, Ungheria, Libano e… Giappone! I primi vini che vorrò provare  in quest’area sono proprio giapponesi: quelli di Chuo Budoshu, noti con il nome di Grace Wine, stand A2, rappresentati da Via dell’Abbonandanza. La cantina è stata fondata nel 1923 da Chotaro Misawa a Katsunuma, adesso frazione della città di Kōshū. Koshu è anche il nome del vitigno autoctono bianco con cui Grace produce Kuve Misawa Akeno, solo inox, descritto come vino di spiccata acidità e profumi marcati di pesca e melone. 

Che ne dite di uno champagne? Al Vinitaly si può: allo stand C1 troverete Maxime Blin e i suoi prodotti, tutti vinificati da uve di proprietà provenienti da Trigny,a nord di Reims. Non si tratta di una grande maison, appena centocinquantamila bottiglie l’anno, ma la qualità è garantita: provate l’Extra Brut La Clé d’Éole.

 La visita al Padiglione D si può concludere con un ideale viaggio in Sudafrica, una realtà vitivinicola molto apprezzata. La storia del vino sudafricano inizia in tempi relativamente recenti: nel 1665 l’esploratore Jan van Riebeeck piantò le prime viti a Città del Capo. Il vino, infatti, era gradito come come compagno di viaggio per le spedizioni navale delle compagnie dirette ad est, molto più dell’acqua, soggetta a deterioramenti duranti i lunghi viaggi. L’arrivo degli ugonotti francesi darà il via alla viticoltura professionale, fino ai giorni nostri: allo stand B1 sarà presente Diemersdal, importato da Afriwines. Il nostro consiglio è per il vino di punta della cantina, Private collection, blend di tutte le uve coltivate da Diemersdal e quintessenza storica in salsa Bordeaux: è ottenuto, infatti, da uve cabernet sauvignon, merlot, cabernet franc, petit verdot e malbec. 

 

Ah , la Toscana, che grande regione e non solo nel calice. Il padiglione 9 è quasi interamente dedicato ai produttori toscani che già da tempo si sono smarcati dalla biunivoca associazione alle due denominazioni classiche, il Brunello di Montalcino e il Chianti. Oggi parlare di Toscana del vino significa abbracciare un panorama ampio e complesso, grazie al buon lavoro dei vignaioli – piccoli o grandi che siano –  e a quello dei consorzi. Bolgheri, la Maremma, Montecucco, Carmignano, San Gimignano e Morellino di Scansano sono nomi che “tirano” sul mercato e che qualitativamente non hanno nulla da invidiare. A nessuno. Nota bene per i curiosi delle denominazioni: in Toscana si bevono i migliori vini IGT d’Italia

Scegliere tre produttori fra quelli toscani è un’impresa per masochisti. L’incrocio tra curiosità, assaggi recenti e fama ha fornito come primo vincitore Vincenzo Cesani, allo stand C14: provate – tra gli altri – la vernaccia di San Gimignano Sanice Riserva, vinificata in inox, maturata sur lie per un anno e affinata in bottiglia per ulteriori diciotto mesi.   

Per i vini rossi il nostro consiglio va a tutta la produzione Monteraponi, stand C16: nome noto tra gli appassionati, forse un po’ meno tra i bevitori meno assidui. Assaporate, se in degustazione, Baron’Ugo: è un vino a forte connotazione green, ottenuto da fermentazione spontanea da uve sangiovese, canaiolo e colorino, non filtrato né chiarificato.  È un sorso che gioca su sensazioni più eleganti che concentrate ed è per questo – probabilmente – che non si dimentica.

 La Toscana del vino passa anche dal Vin Santo del Chianti Occhio di Pernice: si parla un gran bene di Fonti e Lecceta, prodotto da Torre a Cona (stand C11 – C12): non lo abbiamo provato ma rientra d’obbligo nella nostra to drink list per questo Vinitaly. 

È lo spazio a quasi esclusivo appannaggio del Piemonte. Come per la Toscana non basterebbe un articolo intero per fornirvi una panoramica completa sui vini che vorremmo provare e farvi conoscere. Oltretutto le dinamiche vitivinicole piemontesi stanno certamente confermando altissimi standard qualitativi sui vini rossi (Barolo e Barbaresco su tutti, of course) ma stanno compiendo grossi passi in avanti nel campo dell’effervescenza: Alta Langa vince spesso confronti che fino a poco tempo fa erano impensabili. Di contro i bianchi regionali da un punto di vista commerciale stanno un po’ segnando il passo, tranne il sempre più apprezzato Erbaluce di Caluso e il Timorasso. Tra i vini dolci il moscato non perde un colpo.

Bollicine quindi: a Canelli è un must e lo conoscono tutti. Ha una produzione qualitativa e trasversale che non si limita a un solo prodotto di eccezione. Stiamo parlando delle Cantine Coppo, stand P4. La Riserva Metodo Classico merita tutta l’attenzione del mondo: non vi troverete tentativi maldestri di assomigliare a questo o a quell’altro spumante, ma uno stile incomparabile, riconoscibile, esclusivo. 

L’erbaluce è un vitigno che mi piace: versatile, dinamico, identificabile ma raramente banale. Con grande curiosità mi recherò allo stand E3 – F3 a visitare Cantina della Serra: è una cooperativa che può contare oltre duecento soci, con numeri in produzione tutt’altro che da impresa collettiva indirizzata alla produzione massiva. LaRol è uno degli erbaluce prodotti, affinato in rovere per almeno un anno.

Di Barolo e Barbaresco avrete la to do drink list piena zeppa. E siccome a noi piace la barbera ecco in rampa di lancio un consiglio prezioso: netta, verticale ma non troppo, ampia e carezzevole Epico di Pico Maccario è quel tipo di vino che ti si stampa nella mente senza uscirne più. A partire dall’etichetta, minimal e accattivante, fino all’ultimo sorso, intriso di natura e sapienza vitivinicola, è una bottiglia davvero interessante.  

 Va bene, è più forte di me, non posso uscire dal Piemonte senza aver provato un barbaresco: i Fratelli Cigliuti, allo stand E2, producono Serraboella, uno dei venti cru nel Comune di Neive. Personalmente non l’ho mai provato ma un amico che ne capisce – molto più di me – mi ha riferito che ne vale la pena, per cui certamente accetto il suo consiglio e voi , se volete, potete fare altrettanto. 

Puglia, Basilicata e Molise nei giorni del Vinitaly hanno residenza in questo padiglione. Insieme alla Sicilia, la Puglia è la regione che a mio parere ha giocato meglio le proprie carte in tema qualitativo e commerciale, scrollandosi definitivamente di dosso etichette poco consone. Oggi il Tacco dello Stivale gioca un ruolo di primo piano sul palcoscenico vitivinicolo, a partire dai rosati, la cui  produzione è ormai un modello nazionale. Se i rossi stanno facendo leva soprattutto sul Primitivo di Manduria, i bianchi possono contare sul traino di quello che diverrà presto un nuovo classico, la verdeca. A Nardò siamo stati anni fa alle Cantine Bonsegna, al Vinitaly presenti presso lo stand E4: vini essenziali, nell’accezione positiva del termine, naturalmente. Molto territorio, un po’ di manico, tanto appagamento: il Primitivo Baia di Uluzzo sarà il primo assaggio di una lunga serie.

La Basilicata vanta alcuni produttori stranoti che annualmente ben trainano il comparto: Paternoster, Cantine del Notaio e la giovane Elena Fucci non hanno più bisogno di presentazioni. Ma la produzione lucana non si ferma… ai soliti noti: tanto aglianico del Vulture ma noi piace andar controcorrente e allo stand E5 proveremo Le paglie di Francesco Paolo Battifarano, uve greco in purezza provenienti da vigneti un tempo zone di palude e bonificate alla fine degli anni cinquanta. Un vino fresco e fiero, di cui si parla molto bene.

Il Molise vitivinicolo aspira a una identità che non ha ancora i contorni del tutto chiari, specie al grande pubblico. L’ampelografia autoctona è legata alla sola tintilia  e i vignaioli fanno fatica a emergere con una propria univocità. Ci vorrà tempo, perché i presupposti ci sono tutti: areale tradizionalmente vocato e territori incontaminati giocano a favore della regione, insieme a un folto numero di produttori illuminati. Tra questi segnaliamo la cantina Borgo di Colloredo e il Molise Rosso, montepulciano in purezza: un’ottima occasione per verificare le qualità di un territorio tutto da scoprire. 

Al padiglione 12 abbiamo una varia rappresentativa dell’Italia del vino: Abruzzo, Calabria, Liguria e Val d’Aosta.

 Come altre regioni del Belpaese vinicolo, l’Abruzzo sta vivendo una svolta green, ma sembra trascinarsi dietro annose difficoltà che ne rallentano la crescita, prima tra tutte l’alta percentuale di imbottigliatori fuori regione. Il trend, tuttavia, va nella giusta direzione: già da tempo, per esempio, il consorzio di tutela Colline teramane ha introdotto l’obbligo di vinificazione e imbottigliamento all’interno della zona di produzione, a dimostrazione di una più generale presa di coscienza da parte di tutti i viticoltori. Il livello qualitativo, inoltre, non è mai sceso sotto una certa soglia, anzi: sempre più spesso bere in Abruzzo significa bere molto bene. Fattoria Nicodemi, allo stand E5/F5,  ne è un chiaro esempio: il suo Trebbiano d’Abruzzo superiore Notàri è uno dei must che non dovete perdere.

Vola la Calabria del vino: più investimenti, anche da fuori regione, consentono all’antica Enotria di guardare con ottimismo al futuro. Si diversifica anche nella produzione: dal bianco al passito la regione regala spesso emozioni. È il caso di Spiriti Ebbri, stand A5 – E6, meritevoli di una menzione per tutti i loro vini, con un occhio di riguardo per il pluripremiato Neostòs bianco, da uve pecorello in purezza. 

Nei salotti del vino quando si parla di Liguria scatta l’automatismo: viticoltura eroica. Vero, ma non c’è solo questo, non basterebbe a spiegare il successo dei vini liguri su tutte le tavole d’Italia e del mondo. Piccole produzioni, figlie di parcellizzazioni a volte estreme e impreziosite da un terroir unico. Poggio dei Gorleri (stand D4) propone un Riviera Ligure di Ponente Pigato strepitoso, profondo e sapido: stiamo parlando di Albium, solo poco più di duemila bottiglie.

I limiti quantitativi che caratterizzano la Val d’Aosta non hanno mai impedito alla regione di distinguersi per la produzione vinicola. In uno spazio geografico tutto sommato ristretto, si concentrano varietà ampelografica e stilistica di tutto rispetto, la cui essenza è riscontrabile nei vini Lo Triolet, allo stand A3 – B3. Degustate il loro Fumin, affinato in botte e acciaio. 

Presto saremo online con il terzo e ultimo Road to Vinitaly: stay tuned!