Quando si nomina la parola globalizzazione il pensiero dei più è immediatamente rimandato al melting pot di culture, popoli, usanze e consumi che dall’inizio del nuovo secolo si espande a macchia d’olio nel nostro pianeta.  Io invece penso quasi sempre… al vino, il nostro amato nettare che in un solo assaggio può portarci dalle bianche scogliere di Dover, sulle quali si infrangono le onde oceaniche cariche di iodio, fino alle isole thailandesi, ebbre di profumi di frangipane e frutti esotici, passando per le cacche dei pollai o i rifacimenti dell’asfalto nelle metropoli….ok, ci vorrà anche un po’ di immaginazione, obietterete giustamente voi, ma in fondo una degustazione cos’altro è se non la reinterpretazione dei nostri ricordi e l’effimera illusione di trovarsi in posti mai visitati?

L’etichetta, una piccola opera d’arte

Chissà se Marziano Vevey prova sensazioni simili quando passeggia tra i suoi vigneti sparsi qua e là tra Morgex e La Salle mentre si prende cura dei suoi grappoli di prié blanc. Chissà se coltiva le sue uve nel freddo pungente della Val d’Aosta e intanto pensa a estrarne profumi di frutti tropicali quali ananas, lime e maracuja, piuttosto che pompelmo e pera. Bisognerebbe chiedergli se l’impronta idrocarburica che caratterizza il suo vino è una emulazione di quella dei riesling della Mosella, luogo magico che forse ha visitato e gli è rimasto nel cuore. E’ probabile che dall’alto delle sue vigne, tra le più alte d’Europa a 1200 metri d’altitudine, intraveda idealmente un noccioleto piemontese e desìderi averne uno, perchè è proprio un finale amaricante di nocciole a caratterizzare la chiusura del suo blanc.
Una sola cosa è certa: il bianco di Marziano Vevey non ha profumi, ha desideri, sogni, immaginazione. Col suo prié blanc si può sognare senza necessariamente dormire, si può immaginare pur non essendo più bimbi e si può viaggiare senza spostarsi dalla propria poltrona. Una bussola, posta vicino al calice, rischierebbe seriamente di impazzire: i profumi che caratterizzano luoghi del sud, est, oriente e occidente del mondo sferzano in questo calice come il vento di montagna batte sulle vigne di prié blanc, basse e perciò ben salde al terreno, quasi a voler rivendicare il legame con la loro terra madre, quasi a voler ribadire l’identità e l’appartenenza ai giganti rocciosi valdaostani. Questo senso di appartenenza Marziano Vevey l’ha saputo trasferire nel suo vino, riuscendo a far entrare il mondo intero in un calice della piccola grande Val d’Aosta.