Due scambi di battute su Facebook, un paio di telefonate e il pomeriggio con il produttore è servito.
Siamo in Franciacorta ospiti nella tenuta di Villa Crespia per conoscere meglio Michela Muratori e il suo Arcipelago.
#personedivino.
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Courtesy http://goo.gl/OTb9F5 |
Sei una giovane produttrice ma puoi già quotidianamente confrontarti con un vasto territorio, costituito da quattro tenute molto diverse tra loro. A quale territorio ti senti più legata?
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I territori dell’arcipelago |
Di nascita sono franciacortina, ma da più di sette anni vivo direttamente la Val di Cornia, il Sannio e l’Isola d’Ischia, realtà profondamente diverse è vero ma che col tempo sono riuscita a conoscere e ad apprezzare, ciascuna con le sue spigolosità e bellezze. Essere viticoltrice in quattro territori diversi è una sfida molto difficile, ovviamente la Franciacorta è la realtà che conosco meglio per forza di cose del resto, qui ci passo gran parte del mio tempo. Questo tuttavia non significa che sia la realtà a cui sia più legata. Vivo gli altri territori dove abbiamo le tenute visitandoli più volte durante l’anno, girando le vigne, toccando i suoli e vivendo il più possibile le persone che abitano e ben conoscono questi luoghi. Ci vuole tanta sensibilità, umiltà e disponibilità all’ascolto. Mi piace pensare di conoscere questi luoghi attraverso le amicizie che ho sviluppato e che frequento giornalmente, grazie in particolar modo ai social network.
Sono convinta che per fare un vino buono serva conoscere profondamente il territorio ed il contesto da cui nascono le sue uve. Sono curiosa e sempre attenta a suoli, vigne, paesaggio, cultura di ciascun ambiente che compone l’Arcipelago. Non smetterò mai di stupirmi di quanto la gente di questi quattro luoghi così diversi sia stata così generosa nel seguirmi, accompagnarmi e mostrarmi le bellezze del territorio. Oggi mi sento dunque un po’ ischitana, beneventana e suveretana oltre che franciacortina!
Come ti sei avvicinata al vino? E’ stato un colpo di fulmine o è una passione che è cresciuta gradualmente?
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parte della produzione di Villa Crespia |
Nel 2007 ho lasciato l’Irlanda dove avevo vissuto un anno per il mio Master in Marketing alla Dublin City University. Pur provenendo da una famiglia che non ha una lunga storia di viticoltori alle spalle, il vino si è sempre ‘respirato’ in famiglia. Mio nonno ce lo faceva provare fin da piccoli allungato con l’acqua durante i pranzi e le cene. Tuttavia la mia vera passione per il mondo del vino nasce solo al mio rientro in Italia, quando finalmente riesco a capire quanto serva conoscere quello che c’è attorno per raccontare e capire il proprio vino. Ho iniziato con l’Italia e poi mi sono rimasta ovviamente affascinata dalla Francia, che ho studiato molto e che ancora approfondisco quando posso. Ho imparato moltissimo dalla Francia, degustando e provando. I vini francesi tutti (Borgogna e Champagne in particolar modo) mi affascinano per la loro qualità e capacità di raccontare un suolo, un terroir come dicono loro. L’Italia deve ancora apprendere molto dalla Francia e non mi riferisco alle tecniche di cantina e di valorizzazione dei suoli ma soprattutto per quell’orgoglio, quella passione che il viticoltore francese mette nel suo lavoro, nella sua terra, nel suo vino.
Sono convinta che i suoli italiani abbiano pari dignità di quelli francesi, anzi la variabilità pedologica ed il patrimonio ampelografico della nostra penisola è decisamente più ricco di quello dei cugini francesi, dobbiamo riuscire a valorizzarlo al meglio, ma sono convinta che siamo sulla buona strada!
Hai un vino del cuore? Uno che non produci già!
Ho la fortuna di produrre una varietà di vini molto diversi tra loro e come tutti sono un po’ umorale, vado a periodi, in certi momenti preferisco la bella acidità di un sangiovese suveretano in altri la freschezza di un Franciacorta o di una Fanghina del Sannio.
Amo molto i vini piemontesi, quei barolo giusti che hanno trovato una loro strada tra la tradizione e la sterzata modernista degli ultimi anni. Mi piacciono le versioni più territoriali di nerello mascalese e cappuccio dall’Etna, un territorio dai colori e dalle atmosfere davvero impressionanti. Adoro provare gli aglianico del vulture nelle loro complessità e strutture, vini molto sottovalutati oggi. Non sono invece per le acidità fuori luogo di parecchi Pinot nero toscani che ho provato ultimamente.
Da poco avete messo in commercio Millè, un nuovo modo di interpretare il Metodo Classico franciacortino. Come vi è venuto in mente questo nuovo metodo? Che percezioni avete avuto, durante la presentazione al Vinitaly?
La tecnica enologica per produrre Millè, Francesco Iacono l’ha in mente da parecchi anni, tanto è vero che si tratta di un millesimo 2007. Tenere il vino tranquillo dopo la prima fermentazione alcolica a contatto con i suoi lieviti per tre anni prima di imbottigliarlo, secondo noi ha consentito la nascita di un millesimato di sette anni con caratteristiche di freschezza inaudite, impensabili per un vino con una storia così lunga. L’idea poi di confezionarlo in una veste così “accattivante e modaiola” ci è venuta lo scorso anno. Doveva essere una confezione che sdoganasse in tutto e per tutto l’idea che un millesimo del 2007 non potesse essere consumato in contesti più semplici e fruibili come quello del winebar, locale aperitivo o notturno, così è nato Millè.
A proposito di Vinitaly: qual è il tuo rapporto con la fiera per eccellenza? Credi nella formula attuale o c’è qualcosa che cambieresti?
Vinitaly è un grosso calderone di gente, idee, incontri e chiacchiere, impensabile non esserci per chi vive il mondo del vino e ci tiene ad esserne parte integrante ed attiva. Oltretutto non va dimenticata la rilevanza che questa fiera sta assumendo anno dopo anno per il mercato straniero, arrivano importatori da ogni parte del globo a Verona. Funziona così com’è, perché cambiare?! Finalmente c’è pure VIVIT con i piccoli vigneron! Forse una cosa migliorerei: la connessione internet, inesistente.
Le vostre tenute sono note anche per il progetto simbiotico, ideato per ristabilire l’equilibrio microbiologico del terreno, grazie alle micorrize. Siete soddisfatti della risposta del pubblico al vostro progetto o pensi che si possa fare ancora di più?
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Vigneto di chardonnay |
Fare vini simbiotici risponde ad una scelta di sostenibilità a 360 gradi, estremamente difficile da raccontare perché concretamente non corrisponde a nessuna certificazione, né biologica, né Demeter o altro. Ho lungamente raccontato dei nostri simbiotici in un’intervista in cui mi hanno chiesto di spiegare perché i nostri simbiotici sono vini vegani (http://www.eticamente.net/910/vino-vegano-arcipelago-muratori.html) only the braves arriveranno fino alla fine dell’intervista immagino!!
In ogni caso i simbiotici piacciono, ma probabilmente li vendiamo bene più per questo motivo che per il profondo concetto di sostenibilità che veicolano. Forse non è il canale dell’ho.re.ca quello a cui dovremmo rivolgerci con questi prodotti…
A tal proposito, si parla ormai quotidianamente nell’enomondo di “vini naturali”. Cosa significa per te questa espressione?
Sinceramente preferisco tenermi ben lontana dal concetto di “vino naturale”, il vino non è naturale lo fa l’uomo. Ovvio che l’intervento dell’uomo deve essere il meno invasivo possibile volto a valorizzare il terroir e la sua uva, ma chi non lo fa oggi parlando di produttori di qualità??
Vivere la vigna per me significa, osservare le piante, anticipare i pericoli, fare quello che serve, trattare solo se necessario e per evitare danni, senza però compromettere il raccolto in qualità o quantità solo per la scelta aprioristica del non-intervento. La viticoltura simbiotica offre un’alternativa.
Credo che una cantina sia una realtà che debba essere sostenibile non sono parlando di ambiente ma anche economicamente, altrimenti come può esistere nella nostra società? Oltretutto quando parliamo di territorio, come racconta il Prof. Attilio Scienza, ci scordiamo sempre della “dimensione umana nella espressione del terroir… ogni territorio va associato ad una particolare popolazione, portatrice di una cultura propria, antica… l’uomo stesso è insito nella definizione di terroir”. Dunque il concetto “vino naturale” perde di significato.
Come sarà la Franciacorta del futuro? Avverti un pericolo nel cambiamento climatico che si sta sviluppando negli ultimi anni? Come vi preparate, in tal senso?
Viviamo per ora il presente e la sfida di individuare sempre la giusta epoca di vendemmia, che sia un compromesso tra maturità fenologica e acidità fondamentale in un vino come il Franciacorta.
La Franciacorta è un territorio molto criticato per il suo forte e rapido successo, ma credo che il livello qualitativo alto dei suoi vini possano essere la risposta più semplice e bella a ogni accusa di territorio non vocato o con temperature troppo alte!
Tu sei una “Donna del vino”: trovi che l’enomondo riservi un trattamento equo per produttori e produttrici o, analogamente a quanto accade in altri settori, vi sia ancora qualche disparità?
Assolutamente no. Sono una maschilista convinta e odio termini come “quote rosa” o “sesso debole”. Credo che molte donne oggi usino queste tematiche femministe per celare i loro limiti caratteriali o intellettivi.
Nel mondo del vino come in tutti gli altri settori, se una donna vale e ha voglia di crescere lo può fare come lo fa un uomo. Le donne nel mondo del vino si occupano solitamente di accoglienza in cantina o marketing. Il fatto che ci siano ancora poche donne enologhe e che effettivamente ne capiscano di vino (io mi reputo solo curiosa e con la voglia di apprendere) credo sia legata ad una predisposizione naturalmente maschile per il vino, che però sta sempre più cambiando.
Se avessi un bacchetta magica, che tipo di vino vorresti produrre ora, qui davanti a noi?
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Un calice di simbiotico al giorno… |
Domanda fiabesca!! Credo utilizzerei quella bacchetta per tentare sempre di migliorare i miei vini, tutti i Franciacorta di Villa Crespia, i Rossi suveretani di Rubbia al Colle, i Gialli beneventani di Oppida Aminea e id il nostro Passito Secco dell’Isola d’Ischia, Giardini Arimei.
In ambito vinicolo qual è stata la più grande soddisfazione che hai avuto fino a ora? E la più grande delusione?
Mi piace pensare che la soddisfazione più grande sia il constante riscontro sui nostri Franciacorta Dosaggio Zero, ad ogni livello e ogni giorno. Scegliere di fare Dosaggio Zero nel 2002 non era così scontato come lo è oggi.
Sulla delusione invece non mi voglio esprimere, sono un’ottimista e penso sempre che dopo ogni insuccesso si presenti sempre qualcosa di buono e positivo, basta aver voglia di fare, sempre!
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