Non può
piovere per sempre”.

Il Corvo di Brandon Lee di certo avrà origini
partenopee. Ne ho avuto la prova il giorno in cui sono andato all’undicesima
edizione di Vitignoitalia, il Salone dei Vini e dei territori vitivinicoli
italiani.
Il temporale mattutino sembrava interminabile
e aveva già liquefatto i miei progetti di coniugare l’evento con una
passeggiata di incomparabile bellezza per il paesaggio circostante, il Golfo di
Napoli con le sue meraviglie del lungomare di via Caracciolo, Il Borgo
Marinari, Piazza del Plebiscito, il Maschio Angioino e il Palazzo Reale, tutto
lì vicino vicino, una raffica di arte e storia a portata di mano. Punta di
diamante di questo mini tour sarebbe
stata la location dell’evento, Il trecentesco Castel dell’Ovo, inespugnabile
fortezza sul mare, patrimonio dell’Unesco e coprotagonista della famosa
cartolina del Golfo partenopeo.

Mio padre, notando il mio sconforto, mi
incoraggia sicuro di sé “tra un po’ esce
il sole”.
Esco di casa sotto la pioggia e per strada
incontro Roberto, un conoscente: gli racconto il mio ormai annacquato programma
e lui mi rassicura “nun te preoccupà, tra un
po’ esce il sole”.
Mi concedo un pranzo vicino al Maschio
Angioino alla fantastica Osteria da Antonio (segnatevelo e andateci, vi
sorprenderà) e scambio quattro chiacchiere col figlio del titolare, l’affabile Andrea
che sicuro di sé mi conferma che “mò esce
il sole”.
E in effetti, in barba a tutte le apps sul
meteo… esce il sole. Avevano ragione mio padre, Roberto, Andrea e pure ‘o Corvo!
Mi incammino verso il Castel dell’Ovo e il mio pensiero va agli organizzatori di Vitignoitalia che, nello scegliere la fortezza saracena sull’isolotto di Megaride, hanno fuso storia, arte, cultura, paesaggio, vino, mare… standing ovation!!!
I produttori erano oltre 150 e il livello qualitativo di certo notevole, come testimoniano i numerosi visitatori presenti e i miei Appunti di degustazione:

Franciacorta Soul, Contadi Castaldi. 60 mesi
sui lieviti. Bollicine cremose (è un saten), un mazzo di rose rosse al naso e
tanta crema pasticciera in un assaggio completato da una corrispondenza
floreale e una notevole PAI. Una carezza in un sorso.
P.R. Brut, Monterossa. Crosta di pane, lievito e
frutta verde caratterizzano l’assaggio di questo spumante che sosta 30 mesi sui
lieviti e forse un periodo maggiore avrebbe giovato alla definizione dei
profumi e alla completa espressione di un vino dalla bevibilità decisamente
piacevole.
Alma, Bellavista. L’infinita eleganza è il filo
conduttore di tutti i vini di Bellavista e questo blend 80/20 di chardonnay e
pinot noir suona come un’opera sinfonica che non ha bisogno di tamburi. Alma è
già perfettamente godibile coi suoi profumi dolci, le pochissime spigolosità e
una persistenza ammirevole.
Nel Brut di Bellavista la quantità di pinot
noir è leggermente maggiore rispetto all’Alma ma si fa decisamente sentire, il
tutto a beneficio della struttura e dell’ampiezza dei profumi, qui più tendenti
alla frutta rossa e matura, sempre in un contesto di assoluta eleganza.

Fiano Sequoia, Fonzone. Vino sorpresa della
rassegna. Non vi meravigliate se vi dico che è una vendemmia tardiva e affina
in barrique, il Sequoia si è spogliato delle caratteristiche cicciose, marmellatose e vanigliose dei suoi simili, ma di essi
ha conservato la complessità dei profumi rimanendo snello e bevibile. La frutta
a polpa gialla (susina e pesca noce) fa da apripista a un sorso punzecchiato da
note spigolose di menta in un sottofondo di crema pasticciera. Acidità e
freschezza completano un assaggio chiuso da un ritorno finale di liquirizia. A
Vitignoitalia è stato premiato con la medaglia d’argento, ma l’oro è nel
calice. Applausi a scena aperta!
Grecomusc’ 2013, Cantine Lonardo. Il nome grecomusc
deriva dall’omonima uva, localmente chiamata così perché gli acini in
maturazione perdono consistenza, si ammosciano – perciò greco moscio. In realtà
il vero nome è Rovello bianco e appartiene alla famiglia del greco. La
struttura e la consistenza di questo bianco campano sono sorprendenti, il vino
sembra quasi masticabile e in bocca sprigiona sbuffi floreali e accenni agrumati.
Perfettamente a suo agio se accompagna piatti di pesce importanti.
Barbetta Assenza, Masseria Venditti. Prima
uscita col nome Barbetta per l’uva che fino allo scorso anno era la Barbera del
Sannio e mai nulla ha avuto a che fare con quella piemontese e dell’Oltrepò. Il
calice fuga ogni dubbio sul fatto che questo rosso sia autoctono: fragoline di bosco,
ciliegia di vignola, spezie dolci, macchia mediterranea e una bevibilità
stellare. Da berne a vagonate.