Capita spesso a noi abitanti dell’enomondo di imbattersi in vini per la comunicazione dei quali si sottolinea – con enfasi in certi casi, più discretamente in altri – l’origine da vitigno autoctono, come se tale provenienza significasse sinonimo di qualità. Ovviamente non è così, potendo il vino da vitigno autoctono garantire tipicità – non necessariamente qualità – e alcune volte nemmeno quella, poiché trattamenti in vigna e in cantina tesi a stravolgere le caratteristiche dell’autoctono lo renderebbero per forza di cose tutt’altro che tipico.
Ma cosa vuol dire davvero autoctono? dopo quanto tempo un vitigno si può considerare autoctono di un territorio?
Per dare una risposta a queste domande e ravvivare il dibattito l’associazione Go Wine ha organizzato un banco di degustazione denominato Autoctono si nasce, tenutosi all’Hotel Michelangelo di Milano lo scorso 19 maggio. Nel corso della serata sono intervenuti il professore Vincenzo Gerbi, docente di Enologia presso l’Università di Torino e il professore Osvaldo Failla, presidente del Corso di Laurea in Viticoltura ed Enologia dell’Università di Milano.
Il professore Failla ha innanzi tutto specificato che “autoctono” è un termine che non raccoglie identità di vedute nel mondo accademico e che l’autoctonia si può definire come l’addomesticazione della vite, iniziata nel Caucaso settemila anni fa. Come sospettavo, l’uso stesso del termine può generare quindi un’infinità di deduzioni e controdeduzioni potendo per assurdo stabilire che gli unici vitigni vitis vinifera davvero autoctoni sono quelli che oggi troviamo nel Caucaso e che tutte le altre sono alloctone, derivando direttamente da quelle caucasiche. L’intervento del professor Failla si è concluso con una breve considerazione sul miglioramento genetico, da interpretare come veicolo per fornire nuove strade contro le malattie ed i tipi di stress.
Il professor Gerbi ha presentato un breve discorso, intitolato “Vini rari e di montagna una via concreta alla biodiversità”, definendo la biodiversità “quello che una volta si chiamava disordine ampelografico“. Citando l’Australia come esempio mondiale per la ricerca enologica, il professore ha sottolineato come l’enologia sia molto cambiata: “trent’anni fa si diceva che bastava conoscere il ph e la solforosa e si poteva fare l’enologo“. Considerazione finale per l’enoturismo: è importante l’elemento attrazione per invogliare i turisti a bere cose non comuni.
Al termine delle brevi relazioni il presidente di Go Wine Massimo Corrado ha letto il manifesto dell’associazione per i vini autoctoni, una dichiarazione di intenti attraverso una determinata idea di vino, per esaltare la viticoltura in una dimensione sociale e culturale.
A favore di uomini e donne del vino, custodi delle radici della loro terra, protagonisti di una viticoltura che possa proiettarsi nel futuro con fiducia per le giovani generazioni.
E le degustazioni? Abbiamo provato pochi produttori, ma lo sappiamo bene: meglio pochi e buoni…
Abbiamo iniziato con l’Erbanno San Valentino 2012 di Enrico Togni Rebaioli: porpora eccitante, naso vinoso, fruttato di fragola ed erba appena sfalciata. Palato molto fresco ma senza sgomitare è già ben educato e del tutto piacevole: con Enrico concordiamo che al naso sembra più giovane di quanto non dimostri poi in bocca. Ennesima conferma per un produttore di montagna, come Enrico stesso ama definirsi, in grado di coniugare tradizione e qualità in un contesto – quello del Valcamonica – intensamente da viticultura eroica.
Valter Bosticardo di Tenuta dei Fiori ci fa provare Calosso 2011, da uve Gambarossa, conosciute anche con il nome di Gamba di pernice e Neretto degli Alteni, una varietà antica quanto rara. In effetti la degustazione ha regalato sensazioni inedite sin dall’esame olfattivo, caratterizzato da un misto vegetale ed esotico, seguito da un sorso tendenzialmente molto fresco e dal tannino non del tutto garbato. Calosso è una piccola DOC nata nel 2011 comprendente i Comuni di Calosso, Castagnole delle Lanze e Costigliole d’Asti: da ricordare, sia per tipicità che potenzialità.
Rusticardi 1933 è una Barbera Superiore molto tosta, proveniente da vigne di ottanta anni: proviamo con Valter l’annata 2007 e ravviso forse un apporto del legno più incisivo di quanto mi aspettassi ma che non toglie al vino spessore e stile.
Terminiamo con Pensiero un metodo classico di moscato di Canelli con ben dodici-anni-dodici di affinamento sui lieviti. Naso classico varietale ma grande personalità e freschezza: gelsomino, rosa, sambuco salvia ma senza quegli eccessi di aromaticità a volte stucchevole, attenuata a favore di un impianto olfattivo molto elegante e mai ossidato. Anche al palato esprime una soggettività del tutto inedita, forse tecnicamente non perfetta ma certamente di grande fascino, coadiuvato da una bollicina mediamente fine ed una freschezza ancora invidiabile. Lo spumante che non ti aspetti.
Ultimo giro di degustazioni con Marco Vercesi, in quel di Montù Beccaria, nel cuore dell’Oltrepò.
La Crosia 2014 è una Bonarda frizzante, leggera, gioviale e meno tannica rispetto alle altre annate, più in generale è piacevole e beverina: una sorpresa, almeno per me. Marco ci spiega che l’annata non è stata tra le più felici da un punto di vista climatico, ma in questo caso la conseguenza è stata una bonarda meno aggressiva e – dal mio punto di vista – decisamente gradevole. Il Re di Bric 2009 è un blend di croatina e merlot, molto sincero e senza orpelli, dove la rotondità del vitigno internazionale gioca un ruolo fondamentale per smussare un po’ gli ardori della croatina.