Il Vinitaly, giunto alla 49ª edizione, ha appena chiuso i battenti: coloro a cui è piaciuto se ne faranno una ragione, coloro invece che lo hanno mal sopportato tirano un sospiro di sollievo. In due giorni con l’acceleratore a tavoletta Gabriele ed io – oltre ad assaggiare i vini che avevamo in mente – abbiamo tastato il polso ad operatori e pubblico, abbiamo raccolto gli sfoghi o gli entusiasmi di chi ha vissuto la grande fiera. E’ stato istruttivo.
I numeri: i visitatori sono stati 150 mila, contro i 155 mila dell’anno scorso, con operatori provenienti da 140 paesi, contro i 120 del 2014. Il boom di operatori esteri lo ha fatto registrare la Francia, che precede il Giappone. Gli espositori, in effetti, ci avevano già detto di aver percepito una maggiore presenza di operatori stranieri e una migliore qualità dell’affluenza collettiva. 
Le nostre impressioni, da un punto di vista certamente più sostanziale che numerico o statistico, sono positive: il Vinitaly in fin dei conti è una festa e così la vivono in molti. E’ una fiera business, certo, ma è anche molto enjoyment, non soltanto per la presenza dell’utente privato. E’ un grande carrozzone e come tutti i grandi carrozzoni molti ci salgono a bordo: dal politico locale alla show girl, dall’attore testimonial all’imprenditore rampante. Un vero spettacolo.
Un po’ meno spettacolare far fronte alle ennesime criticità che il Vinitaly ha manifestato. La prima che mi viene in mente è quella legata alla logistica di Veronafiere, per cui si sono riproposte lunghe file agli snodi autostradali, per non parlare della fatica per trovare un parcheggio per la macchina. Non è secondaria la difficoltà di utilizzare gli smartphone o i tablet all’interno della fiera, per assenza di segnale o congestione. In compenso l’organizzazione generale è stata buona e si sono ridotte di molto – rispetto agli anni scorsi – le scene poco edificanti tipiche di una parte del pubblico domenicale. Forse perché c’è stato un sostanziale aumento del prezzo del biglietto? Non lo sapremo mai.
Già, il pubblico: in molti hanno comunicato una maggiore consapevolezza da parte dei visitatori, più attenzione ai dettagli, domande più interessanti. Era ora: un Paese che produce un vino di qualità eccelsa deve – non può, deve – avere una platea di consumatori critica e colta.
Siete curiosi di sapere cosa abbiamo provato, vero? Vi accontento subito, con i nostri appunti di degustazione:
E’ Sara Carbone in persona ad accoglierci e parlarci dei suoi prodotti. Si inizia con il Rosato 2013, da uve aglianico, frutto di brevissima macerazione che dona un rosa molto scarico. Ottimo ventaglio olfattivo e freschezza beverina. 
L’atteso Fiano 2013 è molto luminoso, con profumi di fieno e nota vegetale, poi sottili profumi di fiori bianchi e frutta esotica. Il sorso è fresco e pieno, con ampi ritorni vegetali. Nel Nero Carbone 2012, aglianico in purezza, si percepisce subito al naso l’indole fruttata, di prugna specialmente, poi spezia dolce. I sentori sono molto puliti; all’assaggio è croccante, spicca per grande freschezza e tannino integrato. Concludiamo con lo Stupor mundi 2011: bel colore granato intenso, frutta rossa spiritata e speziata, amarena Fabbri, tannico e super sapido con un finale molto lungo caratterizzato da ritorno di liquirizia.

Enrica D’Uva ci accoglie con un sorriso raggiante, un bel biglietto da visita. Ci spiega, non senza orgoglio, che l’azienda di Larino è stata concepita da un punto di vista strutturale rispettando totalmente l’ambiente tanto che le fondamenta, per esempio, sono state fatte con i ciottoli di cui lo stesso terreno era dotato. La cantina può contare anche su un impianto di geotermia per sfruttare il calore del terreno, in grado di rendere l’azienda autonoma da un punto di vista energetico. Tutto ciò ha permesso all’azienda di ottenere un riconoscimento di Legambiente, che li ha nominati Ambasciatori del territorio molisano. Anche nella fase di vinificazione Cantine D’Uva è Eco friendly: l’azienda sostituisce infatti i passaggi che richiederebbero l’uso di sostanze estranee come la chiarificazione con uso di bentonite o caseina con metodi esclusivamente meccanici. Proviamo un solo vino, il Lagena 2012, tintilia del Molise. Il vestito è color porpora con riflessi rubino, naso fresco di more fresche, un po’ di ciliegie; al palato è innervato da bella sapidità, croccantezza in perfetta linea col naso, tannino e alcol sotto controllo e buona la beva. Un ottimo assaggio.

Bernardo Barberani è nel suo stand, circondato da visitatori: riesce giusto a trovare un attimo per chiederci di pazientare e nel frattempo ci porge due calici di Luigi e Giovanna 2012, di un bel giallo luminoso, a cui corrisponde spartito olfattivo di lime, citronella e senza dubbio forte mineralità. La bocca è schioccante e composta, nonostante la grande freschezza. Poco dopo, quando ci accodiamo ad uno dei tavoli dello stand, Bernardo ci versa un dito di Polvento 2009, sangiovese grosso: al naso si riconosce il varietale, contraddistinto da una spiccata giovialità che forse il sangiovese toscano non ha. Sentori di viola e pietra focaia precedono un sorso goloso e fedele caratterizzato da slancio tostato e finale dinamico. Senza dubbio uno dei migliori assaggi del Vinitaly. 

Chiudiamo in dolcezza con il Calcaia 2012, nel quale ritroviamo i caratteri tipici di un vino muffato. Il color del sole ci fa capire che tipo di assaggio faremo. L’immaginazione è confermata da un impianto olfattivo ricco e variegato, scandito con ritmo ineccepibile: arancia candita, caramella mou, miele e spruzzate di classico zafferano. Poi ancora dattero, frutta esotica, albicocca. A un gran naso corrisponde una bocca leggiadra, per nulla opulenta, fresca e dinamica. Il finale è da grande vino da desserto o anche da meditazione ed il Calcaia effettivamente lo è.

Un vino che non volevo mancare. Il Rosso 2013 ha grandissima profondità olfattiva e ampiezza indefinita. Bocca austera eppure snella e agile. Beverino e glicerico allo stesso tempo, fa dell’equilibrio il suo punto di forza.
Brunello 2010: medesima profondità espressiva, completo in tutte le parti. Allo stesso tempo esprime energia e compostezza, complessità e bevibilità, gioventù e longevità. Il Brunello 2009 è di più facile impatto, sia al naso che al palato. Balsamico finale di mirto e macchia mediterranea. Terminiamo questa carrelata con il San Pio 2011, blend di cabernet sauvignon e sangiovese. Naso ben distribuito tra i fiori e i frutti del sangiovese e l’anima vegetale del cabernet sauvignon. In bocca non sgomita né gigioneggia, dinamico al punto giusto: si percepisce una mano che conosce i segreti della vinificazione. 
Per questa azienda siciliana ho un debole, non posso nasconderlo. Il Carjcanti 2011  è fatto con il vitigno da Muntagna per eccellenza, il carricante, ma qui lo percepiamo in una versione più grassa e ovviamente meno complessa da un punto di vista olfattivo. Componente acido salina di gran classe. Guizzo finale citrico. Nel Nero San Lorè 2009 si può subito avvertire il naso spiritato, speziato e intenso. Pizzica un po’ l’alcol, il campione necessita di respirare in più il mio sorso è un po’ caldo. Nonostante ciò manifesta grande personalità e tutta la profondità dei grandi vini siciliani.