Nel mondo vitivinicolo nazionale c’è un club molto affollato, di cui fanno parte i vitigni autoctoni di difficile reperibilità, ampiamente sottovalutati a fronte di una grande espressione qualitativa. Tra questi, un posto d’onore è senza dubbio per il rossese, di cui Appunti di degustazione ha già parlato qui e anche qui.
Sconosciuto al grande pubblico – per appartenenza territoriale e relativa distribuzione – in effetti rappresenta una produzione di nicchia ma indubbiamente di grandi virtù: di esempi ne potrei fare davvero tanti.
Tra questi vi è senza dubbio il Galeae di Ka Mancinè 2010, ufficialmente nell’Olimpo dell’enologia italiana anche grazie all’inserimento della degustazione Bibenda 2014, a fianco di altri grandissimi nomi della produzione italica, nella sezione “Rossi dello spirito“.
In Ka Mancinè “Ka” sta per “casa”, Mancinè evoca lo “stranome” dato al capostipite della famiglia Anfossi, Pietro, che era mancino.
Galeae deriva dal dialetto ligure e significa “galera”, in memoria dei luoghi un tempo utilizzati come prigione dei saraceni ed ora siti di vigneti centenari a quattrocento metri sul livello del mare, alcuni dei quali coltivati ad alberello, retaggio storico di origine greca o forse etrusca.
Siamo a Soldano, nel primo entroterra ligure a venti chilometri dal confine francese, poco più a sud di Dolceacqua.
Bellissimo e luminoso rosso granato, consistente, si muove lento nel calice.
Intensità olfattiva buona, viola passita, poi more, ribes, legno di cedro, mirto, speziatura dolce, timo e schiaffo salmastro finale; in bocca si avverte subito la sensazione pseudocalorica, anche se è ben sostenuta da un’adeguata acidità, tannino integrato e vellutato, abbastanza sapido e dotato di bella morbidezza.
Ottima corrispondenza gusto-olfattiva, mi piace perché è droit, come dicono i francesi: niente fronzoli, nessuna maschera, solo la giusta complessità tutta territoriale e varietale.
Di corpo ed equilibrato, gradevole la persistenza, non lunghissima, è un sorso che non stanca: una bottiglia che finisce in fretta senza sfinire il palato.
Senz’altro fine, non è un vino per chi ama le concentrazioni e le dimostrazioni di forza: è un vino che gioca sulle sfumature, che si fa forza di una spiccata impronta mediterranea pur senza sovrastare i tratti eleganti propri del vitigno.
In un contesto di abbinamento territoriale è senz’altro un ottimo compagno per il coniglio alla ligure, con cui duetta senza eccedere né soccombere.