Di Francesco Cannizzaro, sommelier AIS.
Il rossese, attualmente, è uno dei miei vitigni preferiti; è una pianta delicata (come il pinot noir), cresce dove decide lei (come il pinot noir), perennemente sottovalutato, in certi casi subordinato all’ormeasco, ha pagato a lungo limiti olfattivi e gustativi che anni di selezione e studio hanno smussato ampiamente.
La storia del rossese passa da vinificazioni eroiche, simili alla chiavennasca, con terrazze scavate nella montagna, pendenze masochistiche, raccolte a mano; sistema di allevamento ad alberello o cordone speronato, viti in certi casi centenarie.    
Rossese di Dolceacqua superiore Posaù 2010
 La versione di Maccario Drigenberg è, fino a ora, l’esempio migliore in assoluto.
Limpido rosso rubino, permeabile, abbastanza consistente;
al naso è abbastanza intenso, complesso e fine; floreale, fruttato, speziato, etereo. Note di fiori secchi, visciola matura, melograno, vaniglia, rabarbaro, spezie dolci.
In bocca è secco, caldo, abbastanza morbido; fresco, abbastanza tannico, sapido.
Di corpo.
Abbastanza equilibrato.
Intenso.
Persistente.
Fine.
Colore vivo e luminoso. Il naso è particolarmente fine, tratto elegante e tannino delicato, possiede una spalla acida notevole che ben sostiene una componente alcolica inaspettata;  l’armonia non è perfetta ma solo perché vi è una certa esuberanza giovanile che copre l’identità del frutto e la trama tannica. Il finale è suadente e ammandorlato, lungo e piacevole chiede alla bottiglia di riempire ancora il calice. 
In generale potrebbe ancora sostare in bottiglia. 
Pronto. Armonico.
88/100
Tra un anno o due diventerà 90 o più.