E’ la solita e collaudata location del Milano Congressi quella scelta per il  Milano Food & Wine Festival, giunto ormai alla terza edizione, volta a valorizzare le produzioni di qualità del mondo enogastronomico.
Quest’anno saranno circa 250 le etichette del territorio italiano (un paio estere) in degustazione libera e 24 i cuochi, pasticceri e pizzaioli che si susseguiranno durante i tre giorni in programma.
Concentriamoci sul vino e vediamo com’è andata.

Già tanta gente a mezzogiorno del sabato ma ampi spazi e aree food e wine separate aiutano a non creare ingorghi.
Giro di ricognizione e via verso le bollicine del Trentino; solo tre.



Maso Nero Trento DOC brut di Roberto Zeni da 100% Chardonnay. Quaranta mesi sui lieviti regalano un metodo classico che risveglia i sensi. Il naso floreale mi comunica una freschezza primaverile accentuato dalla nota minerale e agrumata. In bocca ha una bella struttura sinuosa risultando sempre appagante. Forse lo sento un po’ dolce ma credo sia un problema da “primo assaggio”.
Redor Trento DOC brut riserva di Cantina Rotaliana. Da 70% Chardonnay e 30% Pinot Nero affina per quarantotto mesi sui lieviti mostra subito il carattere deciso del Pinot Nero sia al naso che in bocca. Tecnicamente ineccepibile molto buono come tanti, si confonde però fra la moltitudine di prodotti simili. Ahimè non avverto l’anima.
Perlè 2007 Trento DOC brut Ferrari, blanc de blancs. Personalità, classe e struttura per un evergreen che non mi delude mai. Lo amo molto, l’ammetto (anche per il prezzo).

Ci spostiamo in terra lombarda da Le Marchesine dove proviamo il Franciacorta Rosè brut millesimato da Chardonnay e Pinot Nero. Buccia di cipolla e perlage fine, regala profumi delicati di fragola, frutti rossi e rosa. In bocca il dosaggio zuccherino è equilibrato e pertanto non risulta troppo spinto. Un ottimo rosè.

Continuando troviamo una vecchia conoscenza di cui ho apprezzato una buona parte della produzione (qui e qui): Il Calepino. Oggi proviamo il Fra Ambrogio 2005, il brut riserva della Casa.
Giallo dorato, note freschissime di miele, erbe di montagna e, più là evolute di frutta secca. In bocca il sorso è pieno e mediamente lungo e buona corrispondenza gusto-olfattiva. Ottimo compagno per pasteggiare e di bella beva.
Cambiamo registro e ci spostiamo sui bianchi.
Non potevo non dedicare qualche riga al Furore Bianco Fiorduva 2011 di Marisa Cuomo; 100% autoctono campano da uve Fenile, Ripoli e Ginestra (in degustazione approfondita qui).
Dopo sei mesi in barrique e dodici di affinamento in bottiglia al naso è mostra un’espressività non comune. Frutta fresca polposa  di pesca, ananas dapprima, poi frutto della passione quindi si sprigiona l’intensa impronta aromatica di erbe officinali e felce. Chiude con una mineralità da brezza marina. Molto equilibrato in bocca, fresco e sapido. Lungo e longevo nel tempo fa la parte del primo della classe.

Restando in terra campana non potevamo mancare anche Joaquin con il suo Fiano Vino della Stella che finalmente quest’anno ha rivisto la luce con l’annata 2012; a garanzia di una qualità estrema infatti, il produttore ha deciso di non imbottigliare né il 2011 tanto meno il 2010 poiché non ritenuti all’altezza (degustazione dello scorso anno con l’annata 2009 qui).

Ottima la freschezza che sovrasta un’altrettanto spinta sapidità. Regala note di frutta secca, poi erba secca e fieno. Intenso al gusto, dinamico e lungo, lo si assapora come l’estate, con spensieratezza.
Una chicca è poi il Piante a Lapio 2011 che a detta di Raffaele è l’unico prodotto definibile come “vero Fiano” grazie alla sua storia pluricentenaria. Parliamo di viti storiche di cento e più anni, a piede franco,  piantate nei terreni di piccoli produttori e con affinamento in botti di castagno, legno autoctono campano da sempre in uso. Un prodotto che più integrale non si può, campano a 360 gradi.
Viene servito più caldo del precedente e questo spiazza un po’ perché al palato risulta comunque freschissimo. La grande struttura poi garantisce un’abbinabilità che spazia dal pesce alla carne (con i dovuti distinguo). L’apporto del legno lo caratterizza molto, soprattutto in bocca regalando al contempo e complessità e note evolute di confettura, fichi, mandorle. Erbe aromatiche e nota iodata completano il quadro olfattivo. Un grande vino.
Chiudiamo i bianchi in terra sicula con Pellegrino e il suo Gibelè 2012 da 100% Zibibbo. Il bianco secco che non ti aspetti… aromatico, quasi dolce al naso con intense note di miele, zenzero, foglia di pomodoro, gelsomino e nota minerale vira decisamente su sentori secchi in bocca regalando anche una grande sapidità. Perfetto per una pasta con le vongole.
E’ il momento dei rossi.
In Toscana proviamo due vini di Petra.
Il Quercegobbe 2010 da 100% Merlot ha un naso spostato su note tostate di legno, vaniglia e tabacco insieme all’apporto fruttato tipico del Merlot. E’ ancora giovane secondo me soprattutto al palato dove il tannino deve ancora affinare. In prospettiva un ottimo vino.
L’Alto Toscana Rosso IGT 2009 da 100% Sangiovese si apre a toni sottobosco, terra, tabacco. In bocca il sorso è rotondo, carnoso e tostato regalando note fresche e sapide ben bilanciate. Un anno di affinamento ha poi garantito un ottima integrazione al tannino; e migliorerà ancora.
Siamo in chiusura, non senza tornare in campania per un ultimo grande rosso: il Furore rosso riserva costa d’Amalfi DOC 2009 sempre di Marisa Cuomo.
50% Aglianico e 50% Piedirosso da viti fra i 300 e i 350 metri sul livello del mare, sprigiona tutta la complessità dei terreni vulcanici campani. Frutta a bacca nera, nota tostata di tabacco, caffè, salsedine e liquirizia si fondono con dinamismo e slancio in un susseguirsi di sensazioni. Sapidità appagante, buona acidità e tannino vivo gli regaleranno poi svariati anni. 
Concludo con una riflessione doverosa. In più di un caso ci siamo imbattuti in produttori che avrebbero gradito un coinvolgimento di pubblico di più ampio spettro rispetto al consumatore (sebbene evoluto); parlo di distributori, enotecari e ristoratori, la cui presenza sarebbe stata certamente gradita. Di contro il Festival ha come target proprio un pubblico esigente e competente (trenta euro per l’ingresso non sono pochi!) che comunque sceglie consapevolmente di parteciparvi; si rischiava di snaturare l’evento. 
Infine, leggera nota stonata rispetto alle passate edizioni, mi sembra di aver notato meno affluenza di pubblico e soprattutto di produttori; magari mi sbaglio, ma non sono sicuro che il prezzo sia stato pienamente giustificato.

Altre foto dalla manifestazione: