Io bevo… i vini rossi. Ma anche i bianchi. E gli spumanti, naturalmente. Io bevo naturale. Ma anche convenzionale. Biodinamico. E bevo sostenibile. Io bevo vini di grandi produttori. Ma davanti a una chicca non mi tiro indietro. Nemmeno davanti a un buon distillato! Io bevo così, e vi devo confessare che lunedì scorso ho bevuto molto bene a Io Bevo Così, giunto alla sesta edizione.

L’Hotel Gallia ha prestato due sale: dopo il successo dell’anno scorso e l’aumento degli espositori, l’impiego di un secondo spazio era effettivamente auspicabile. Un evento destinato agli operatori del settore, ma non per questo poco frequentato. C’era tanta gente, ben distribuita. Mi corre l’obbligo – poiché sono generoso e non trattengo le giuste informazioni per me – alcuni assaggi davvero appaganti. Prendete nota, se vi va.

Pronti via bollicine dal sapore di vulcano quelle di Marco Buvoli e il suo Opificio del pinot nero, a Gambugliano, in provincia di Vicenza. Sì, Vicenza, avete capito bene. Laggiù di pinot nero – di solito – non ce n’è ma Marco ce lo ha portato direttamente dalla Francia: barbatelle dalla Champagne per gli spumanti e dalla Borgogna per il rosso fermo. La cantina ha una filosofia dinamica, definita dallo stesso Marco un laboratorio creativo. Dopotutto il vino è ricerca (lo dico sempre). Tre Brut è lo spumante più giovane prodotto, ma ha ben tre anni di affinamento sui lieviti: trentasei mesi in cui hapotuto acquisire sentori già evoluti, oltre ai classici profumi di fiori bianchi ed erbe aromatiche. La beva va che è un piacere, ma ciò non faccia pensare che sia un vino facile: va ponderato e assaporato, con calma e giudizio. Di grande classe anche il Pas Dosé Cinque: anche in questo caso il nome indica il numero degli anni di affinamento. Alla cieca ingannerebbe più di qualche appassionato, specialmente se fosse interrogato sulla zona di provenienza: non ha lo slancio, né le note di uno champagne, né – a mio parere – anela ad assomigliarci. Cinque vuol essere quel che è: uno spumante verticale, sottile nello stile e nel perlage, ricercato. È molto versatile, caratteristica che deve avere un moderno spumante: lo si può bere dappertutto, in qualunque momento della giornata.

Facciamo un volo virtuale di circa cinquecento chilometri e atterriamo a Montefalco, all’azienda Raina. Francesco Mariani si autodefinisce “cuoco e vignaiolo” e nel 2002 ha rilevato una decina di ettari, impiantandoli poco per volta con le viti più rappresentative del territorio, sia autoctone che internazionali. Proviamo il Rosso della Gobba, un blend di sangiovese, montepulciano e sagrantino. Tre varietà molto diverse tra loro, ma che possono coesistere se assemblate con perizia. Questo vino lo dimostra. Note fruttate fresche in evidenza, con qualche tocco di spezia, vaniglia, pepe nero. Fragrante e vispo anche in bocca, nella quale si riflette la pulizia avvertita al naso. Tannino calibrato, e così la morbidezza alcolica, ben accompagnata da rigorosa acidità. Facilità di beva e appagamento vanno di pari passo, come nei vini che riescono meglio.


A Montemarano in provincia di Avellino, dove il mare non c’è ma è comunque forte l’influsso mediterraneo e ancora più forte il profumo della storia vitivinicola c’è La cantina di Enza. Lei – Enza Saldutti – è dietro al suo banchetto e la voglia di farci provare i suoi vini è pari solo all’orgoglio di averli prodotti. Coltiva aglianico, code di volpe bianca e rossa, trebbiano, alcune delle quali raggiunge i settanta anni di vita. E ci mette la passione e soprattutto l’istinto, con la guida del padre, a cui non sempre dà retta. Un approccio naïf che restituisce vini di personalità, profondamente artigianali. Passione 2014 e Padre 2012 sono due gioielli. Padre, in particolare, è un Taurasi di impatto folgorante, per colore, energia olfattiva, completezza gustativa. Un’espressione di territorio, di annata e di vitigno interpretata fedelmente, decifrata senza correzioni. L’annata non particolarmente positiva ha conferito al Taurasi tannini più disciplinati, meno energici ma non per questo scialbi. Provare per credere.


L’ultimo consiglio non è per un vino. Già: il mondo dei distillati mi attira sempre più spesso e quando ho visto il banchetto della Bottega degli spiriti mi sono lasciato ammaliare come da un canto di sirene ma – a differenza di Ulisse -non ho pensato nemmeno per un istante di farmi legare all’albero maestro. La Bottega importa direttamente da Inghilterra e Irlanda una serie di gin destinati sia alla mixology che al consumo pure mode. Ne ho provati tre o quattro ma quello che mi ha sorpreso di più è senz’altro il Beara Ocean Gin, infuso con acqua di mare dell’Atlantico, alghe da coltivazioni sostenibili “Saccharina latissimi”, fucsia, agrumi, radici di giaggiolo, radici di angelica, semi di coriandolo, cardamomo e naturalmente
bacche di ginepro. Un caleidoscopio di profumi e una girandola di sensazioni gustative: nulla a che vedere con i gin commerciali. Se avete voglia di avventurarvi nel mondo dei gin, questo è un ottimo inizio.