Chiamatelo terroir, citate la zonazione, parlate quanto volete di Cru.
Le parole servono a poco quando è il calice a sentenziare. E quando nel calice ci sono i Rossese di Maccario Dringenberg l’ascolto è d’obbligo, perché essi sussurrano e pur parlando la stessa lingua riescono a raccontarci quanto siano unici.
Bevuti a distanza di tempo tutti e 4 il ricordo che ne ho è di 4 vini decisamente differenti l’uno dall’altro, non certo di quattro rossi provenienti dalla stessa tenuta e dallo stesso vitigno. Se a ciò aggiungiamo il fatto che le proprietà aziendali non sono propriamente sterminate ma si estendono in un lembo di terra ai confini liguri con la Francia, allora comincerete a capire
quanto lavoro e ricerca siano occorsi per ottenere quattro perle differenti tra loro.
Del Posaù ne parlammo qui, un vino che ha tutto, elegante e al contempo potente ma sempre armonico. Il Luvaira, dalle vigne più vecchie della tenuta, si presentò invece più ruvido e tannico. Il Rossese classico lo ricordo benissimo, dritto e con una speziatura di erbe officinali da far paura.
Mi manca il Curli, in merito al quale Veronelli disse che che questa zona è la Romanée Conti dell’Italia. Con una tale presentazione bisognerà porre rimedio quanto prima a questa lacuna.
E veniamo al Brae, nel suo millesimo 2015, proveniente dai terreni calcarei a 500 metri di altitudine. Qui venti freddi ed escursioni termiche la fanno da padrone. Le insidie dell’annata calda sono state eluse anticipando la raccolta di qualche giorno, per la precisione al 5 settembre. L’acidità è stata in tal modo preservata e con essa la caratteristica del vigneto, tra i più delicati di tutta la denominazione.
Rubino leggermente scarico, il biglietto di presentazione olfattivo del Brae è un bel mix di pot pourri, baccello di vaniglia e kaki persimon. L’assaggio ci regala dolcezze di melograno e coriandolo, poi chiodi di garofano, cioccolato di Modica e una marmellata di ciliegie di vignola. Buona l’acidità nonostante il canovaccio dolce, con una lieve ruvidità tannica a completamento del quadro gustativo.
Spesso si sente dire in giro che le persone si esaltano nelle difficoltà. Noi, che trattiamo i vini come le persone, crediamo invece che il Brae riesce ad esaltarsi nella semplicità, e questa è una cosa ben più difficile perché nei momenti difficili reagire è quasi una necessità, mentre questo Rossese sa essere complesso e mai dominante anche in una cena semplice. Accompagnato a una crema di verdure, bresaola e del pane il Brae è stato un perfetto comprimario.
Come diceva una canzone “l’impresa eccezionale è essere normale” e il suo ritornello mi è tornato in mente proprio nell’assaggio del Brae di Giovanna Maccario perché, nella sua complessa semplicità, è riuscito a rendere una cena normale qualcosa di eccezionale.