Quando vado in giro per locali per un aperitivo raramente sono rapido nella scelta del vino. Un po’ perché mi piace trastullarmi a guardare e riguardare gli scaffali o la carta, un po’ perché il processo di elaborazione del mio desiderio non sempre è lineare (anzi, quasi mai). 
Ma quando mi imbatto in Henriet-Bazin lo scelgo sempre ad occhi chiusi, perché so che berrò bene, so che le papille ne godranno, so che al termine del sorso sorriderò. Mi piace vincere facile.
Il blanc de noirs che ho provato qualche giorno fa ha confermato la mia consapevolezza: non si tratta del più noto pinot nero Brut Grand Cru ma del pinot meunier. Non abbiate pregiudizi sugli champagne da pinot meunier: pensate all’eleganza dell’Egly Ouriet Les Vignes de Vrigny, o alla finezza de L’Orbane Cuvée Parcellaire di Francis Orban. Grandi, grandissime bollicine.
Tradizionalmente il pinot meunier trova il suo luogo d’elezione nella Vallée de la Marne: più specificatamente quello di Henriet-Bazin proviene da una piccola particella della valle, denominata La Sente au Beurre
Partiamo dal colore: splendidamente dorato, quasi accecante. E il perlage: instancabile. Quando penso a bollicine fini, penso a quelle di questo champagne. Il naso offre una lunga serie di aromi, tutti riconoscibili, magari non inediti, ma di certo piacevoli: inizio tostato, frutta secca, lievito. Poi mela stark, brioche e leggera nota burrosa.
È in bocca che a mio parere dà il meglio: la sensazione tattile dell’effervescenza è una carezza, il volume carbonico ben misurato, la coerenza gusto olfattiva totale. Non uno champagne verticale, non duro e nemmeno troppo energico: dopotutto la natura del vitigno non si può modificare. Ma di certo equilibrato, caratteriale. E buono. 
Del pinot meunier si dice che non abbia la predisposizione all’invecchiamento: forse è così. Ma se è davvero così… poco male: berrò quello di Henriet-Bazin tutte le volte che posso, senza correre il rischio di farlo invecchiare.