Capìta. Stasera capìta. Lo dice anche Irene Grandi. Il mondo del vino è ricco di persone generose e se te ne circondi posso accadere cose molto belle. 
Può capitare che una di queste può chiamarti un giovedì mattina e dirti “Ho una tre litri di barbaresco, 1996. Organizziamo un gruppo e prenotiamo un tavolo“. E tu che fai? “Ci vediamo lì“.
La jéroboam è di Armando Piazzo, da San Rocco Seno d’Elvio, frazione di Alba. Già, proprio quella frazione esplicitamente contenuta nel disciplinare ove si può vinificare barbaresco fuori dai tre Comuni celebri, che tutti noi conosciamo a memoria. L’annata 1996 è stata, in tutte le Langhe, strepitosa. Scriveva il Consorzio di tutela:
Dopo un periodo primaverile dai toni alterni, la seconda metà di maggio ed i primi giorni di giugno hanno portato
tempo bello e caldo: il che ha consentito alla fioritura ed all’allegagione di svilupparsi con regolarità e rapidità.
La stagione estiva è stata, invece, caratterizzata da un andamento altalenante e capriccioso, senza quei lunghi
periodi di caldo alternati da temporali rinfrescanti.
[…]. Con la vendemmia 1996 un’altra stella è nata, quindi, dalle vigne di Langa e Roero nei prossimi mesi ed anni la
vedremo brillare sempre più alta nel cielo di tutto il mondo vitivinicolo.
“.
Il “gruppo” dei sette prescelti si è riunito attorno a un tavolo di un ristorante in città. Specialità Carne. Non carne qualunque. Carne con la “C” maiuscola. La bottiglia di Piazzo è stata aperta e fatta ossigenare nei tempi e nei modi giusti. E si presenta nei nostri calici. Era legittimo pensare che qualcosa in questi vent’anni potesse essere andato storto, che avremmo potuto imbatterci in un vino mal conservato o semplicemente stanco.
Nulla di tutto questo: intensità e vivacità del colore ci hanno subito tranquillizzato. I profumi ci hanno fatto sorridere e l’assaggio ci ha fatto chiudere gli occhi e ringraziare Bacco.  Il naso, estremamente dinamico, regalava un binario di sbuffi fruttati, di ciliegie mature, more selvatiche e sensazioni eteree di smalto, iodio, con sottofondo speziato di cannella. 
Assaggiandolo non si ha alcuna percezione del tempo che questo vino ha visto scorrere: certamente se ne comprende l’austerità, ma anche la levità tipica del barbaresco, poiché è certo che la nobiltà – nel vino e negli uomini – non vuol dire gravità.
La bottiglia al ristorante ha suscitato curiosità negli altri clienti e più di una volta sono stato tentato di annunciare “Venghino, signori venghino ad ammirare questo prodigioso vino di ben vent’anni“. Ad ammirare, non ad assaggiare. A quello ci abbiamo pensato noi sette.