Quanto conta il nome di un vino, per il suo successo? Può essere del tutto ininfluente oppure creare una corrispondenza che difficilmente si dimentica. Una associazione di idee che certo non lo rende più buono, ma aiuta a lasciare una traccia nella memoria di chi lo beve. 

Il caso di Core, il second vin di Montevetrano è uno di questi. Etichetta minimalista e nome verace: ha tutti gli ingredienti per piacere mentre è ancora in bottiglia, senza nemmeno averla aperta.

Prima di aprirla davvero, due parole sull’aglianico: considerato il principe dei vitigni del sud Italia, deve il nome alla storpiatura di “ellenico”. L’aglianico infatti fu introdotto dai Greci sin dal VII secolo avanti Cristo, diffondendosi in tutto il Meridione. Soffre la siccità prolungata e le alte temperature e predilige terreni argilloso calcarei o di natura vulcanica.
Nel calice Core 2012 manifesta la passione con cui è stato concepito: rubino molto consistente con straordinari riflessi porpora, naso speziato e di frutta rossa matura, specie amarena cui seguono, dopo qualche minuto, lampi balsamici, accenni di muschio e sottobosco. Al gusto è croccante e succoso, con il passare dei minuti il sorso acquista armonia ed eleganza e scaldandosi… scalda! Si dispone in bocca con sapienza e dinamismo, trasportando perennemente una importante nota iodata e raggiungendo sorprendenti punte di freschezza. Immediata e fedele la corrispondenza gusto olfattiva. Tannino e alcol – sia pur importanti – non incidono nella bevibilità: Core è un vino che si fa bere, ben contento di piacere: anche con pochi calici da riempire nel giro di un’ora la bottiglia può finire, anche senza particolari abbinamenti. E’ la forza dei vini di qualità, forti eppure docili. Come diciamo spesso: pugno di ferro in guanto di velluto. Silvia Imparato ha colto nel segno, ancora una volta. 
Chapeau!