L’altra sera ho fatto un sogno ad occhi aperti, anzi socchiusi.
Sognavo di guidare tra le colline delle Langhe quando, all’imbrunire di un pomeriggio di maggio, il mio catorcio decideva di lasciarmi a piedi. Il telefono, ovviamente, non aveva campo e non vedevo altre auto o case intorno a me. Poi all’improvviso ecco che tra le vigne che si estendevano a perdita d’occhio spunta un tizio che si offre di darmi un passaggio a casa sua per fare una telefonata dal suo telefono fisso (a chi non lo so, un taxi, un carro attrezzi, boh… ma i film sono tutti così, e io ne ho visti forse un po’ troppi), e io accetto. “Io sono Beppe”, si presenta una volta entrati nella sua cascina, e mi fa accomodare davanti il suo camino mentre ne attizza il fuoco.

Io mi accomodo e, non senza una punta di imbarazzo, provo a rompere il ghiaccio con le solite frasi di circostanza “queste auto di oggi… meno male che è passato lei, qui di sera la temperatura scenderà di brutto…” e lui, senza neanche rivolgermi lo sguardo, mi indica un angolo della cucina “se vuoi stuzzica qualcosa lì”.
Mi alzo quasi come se mi fosse stato ordinato e in quell’angolo abbellito da un cesto di fiori trovo delle prugne secche, un paio di melagrane, un vasetto aperto di coriandolo su una piccola mensola, mentre Beppe di fianco a me si spalma della marmellata di ribes su una fetta di pane. Sgranocchio qualcosa, mi siedo di nuovo e aspetto in silenzio. Forse ho sbagliato a pensare di rompere subito il ghiaccio. Aspetto perciò che sia Beppe a parlare, siamo a casa sua ed è giusto rispettare ciò che lui vuole fare. Magari è un tipo taciturno o semplicemente è stanco; è una persona non un personaggio.

Lui capisce il mio atteggiamento, e pian piano si apre, si smussa come un tannino meravigliosamente integrato in un vino, e si apre con me, semplicemente esprimendo sé stesso.
Mi invita a seguirlo, andiamo nel retro della sua cascina perché deve dar da mangiare al suo pastore tedesco, e passiamo sotto un paio d’alberi di pino ed eucalipto prima di notare che il cane non c’è, sarà in giro per la cascina.
Torniamo davanti al camino passando per uno stanzino appena riverniciato e Beppe mi parla di sé, della sua terra, delle sue tradizioni alle quali è legato imprescindibilmente, mi dice di essere un tradizionalista e che la modernità non fa molto per lui. Io ascolto incantato le sue storie e lui mi offre dei biscotti di Battifollo, interminabili. E mentre lui racconta io mi sveglio…
Ho voluto scrivere così l’esperienza di questo vino (perché di esperienza si tratta, non di degustazione) perché ho troppa riverenza e rispetto per questo “Signore del barolo” e per i suoi vini. Forse anche una punta di timore di scriver cazzate. Così ho preferito affidarmi al cuore, oltre che ai sensi, e scrivere di ciò che questo barolo è stato per me: un sogno lungo ed emozionante, nel quale ho vissuto tutti i profumi, le durezze e le morbidezze trovati nel calice.
Non ho avuto il piacere di conoscere Beppe Rinaldi e ovviamente non conosco il suo carattere, però ho bevuto il suo nettare e so che nella diatriba tra barolisti tradizionalisti e innovatori lui è il condottiero dei primi. E queste due cose mi sono bastate per immaginarlo così.
Ringrazio Gianpaolo Arcobello Varlese per la collaborazione onirica.