Una notizia un po’ originale non ha bisogno di alcun giornale,

cantava Fabrizio De André. I pettegolezzi nel mondo del vino hanno la stessa velocità della notizia dell’arrivo in città di Bocca di rosa.

E così pochi giorni fa ho saputo che una prestigiosa cantina di La Morra si appresta a vendere il marchio a un gruppo americano. Non ne farò il nome, per il momento. Posso solo dirvi che è un marchio conosciuto e che molti di voi lo hanno bevuto, almeno una volta nella vita.

Il precedente di Vietti

Nel luglio di due anni fa fece scalpore la notizia che Kyle Krause, un imprenditore a stelle e strisce già proprietario del marchio Enrico Serafino, perfezionò l’acquisto di Vietti, nome celebre per la produzione di prestigiosissimi cru di Barolo. Krause, a quanto è dato di sapere, sborsò 60 milioni di dollari per circa 35 ettari, ai quali se ne aggiungevano 12 già posseduti in denominazione Barolo nei vigneti Codana, Mosconi, Le Coste, Bricco Ravera, Briccolina, Teodoro e Meriame. Fu un evento spartiacque: da allora fu chiaro a tutti che nulla sarebbe stato come prima. Alcuni osservatori notarono che l’alienazione a gruppi esteri di terre vitate o intere aziende è una caratteristica comune alle grandi zone vitivinicole d’Europa, con ritorni economici importanti sul territorio; altri, un po’ più lungimiranti e di gran lunga più pessimisti, rilevarono che a queste cifre sarebbe stato difficile per le vecchie famiglie locali resistere alla tentazione di vendere. La Toscana vive da parecchi anni questo trend, ma in Langa no, non ci si era abituati.

Qual è il pericolo di questi passaggi di cantine italiane in mano straniera? C’è da credere che non tutti gli investitori saranno lucidi come Kyle Krause che ha sì acquisito Vietti ma ne ha lasciato la conduzione a Luca Currado. Allora sarà reale il rischio di vedere un drastico cambio di rotta, in favore di logiche di mercato più commerciali e meno legate al territorio.  Un investitore statunitense, probabilmente, cercherà di piazzare il proprio vino prodotto in Italia anche nei cinquanta Stati iu es ei e per farlo potrebbe decidere di modificare qualcosa nella filosofia produttiva. Non mi riferisco solo alla mera vinificazione: nomi, etichette, packaging possono cambiare, trasformandosi per rendersi più appetibili al mercato che si vuole aggredire. E – senza per questo giudicare – sappiamo tutti che le preferenze del consumatore americano sono diverse da quello italico. Basti pensare, a titolo di esempio, che negli USA spopola il vino in lattina, specie tra le nuove generazioni.

L’ampliamento della denominazione

La vendita di terreni coltivabili in Langa a cifre da capogiro è un fenomeno che porta con sé conseguenze importanti. Gli ettari vitati a nebbiolo da Barolo sono oltre 2000 e rappresentano un prodotto limitato estremamente appetibile per i ricchi investitori. Negli undici Comuni dove è possibile produrre Barolo la biodiversità praticamente non c’è, tutti hanno convertito a nebbiolo, trasformando aiuole, giardini, campi in vigna. Non ci credete? Verificate voi stessi, se ne avete la possibilità: attraversando la strada provinciale 130 da nord a sud uscendo da Serralunga vi accorgerete che sul versante in territorio Barolo vi sono vigne dappertutto, mentre su quello di Sinio, il cui territorio non è tra quelli in denominazione, sono ben visibili i boschetti di querce e pioppi.

Da più parti si alzano richieste per aumentare gli ettari autorizzati alla produzione del vino dei re: già all’inizio di quest’anno la Regione Piemonte su richiesta del Consorzio di tutela del Barolo aveva concesso 30 nuovi ettari e l’anno prima furono 20. L’argomento è delicato e merita un esame approfondito, poiché gli interessi da tutelare sono spesso opposti. Beppe Citrico Rinaldi, intervistato da Cronache di gusto, si è espresso chiaramente: è contrario all’estensione geografica della denominazione, soprattutto perché un prodotto nobile come il Barolo non deve essere presente in grandi quantità sul mercato. Guai a fare col Barolo quanto si sta facendo col Prosecco. Citrico non le manda a dire, si sa.

D’altro canto un (ulteriore) ampliamento delle terre a nebbiolo permetterebbe di avvicinarsi soggetti diversi alla produzione di Barolo, iniettando al movimento nuove idee, forze fresche, nomi nuovi. La biodiversità – tuttavia – potrebbe essere in pericolo, poiché ci sarebbe un aumento di impianti vitati, ai quali noccioleti e peschi potrebbero far posto, in nome del business.

Il futuro nell’acino di cristallo

Cosa accadrà non è facile da prevedere, tenuto conto che i nuovi attori statunitensi eserciteranno ogni pressione possibile in chiave prettamente commerciale. Ci vorrebbe un grosso acino di nebbiolo in cristallo, nel quale osservare il domani, cercando di capire se il forte senso di attaccamento alle tradizioni di Langa sarà più forte del vento di novità proveniente da oltreoceano. O se un giorno anche noi tra gli scaffali di un supermercato ci imbatteremo in un Barolo in lattina.

Comprate terreni. Non ne fabbricano più. – Mark Twain