Non vedevo l’ora, sapevatelo.
Sono venuto in macchina e ho posteggiato al solito un po’ cosi; in centro a Milano è dura. Diciamo che il posto l’ho ricavato.
Ah sì, in anticipo di 25 minuti perché a serate come questa non è importante esserci ma arrivare per primo.
E infatti sono in pole position, prima fila centrale, quella dei nerd con gli occhiali spessi per intenderci; e gli occhiali li avevo pure, ma normali, e tra l’altro non ce n’era bisogno.
Sono impaziente e mi sto martoriando le dita. La mia aspettativa è fra l’enorme e l’esagerato e mi sento ansioso un ragazzino che sta per ricevere il regalo che aspettava da tempo (tipo il più bel Transformer o Masters se sei del ’79).
La serata in Ais è quella dedicata ai Riesling tedeschi (con la R maiuscola) finalmente. E invecchiati ‘sta volta, nel senso buono.
Ve la voglio proprio raccontare questa serata memorabile.
Dunque vediamo.
Siamo in Germania nella parte ovest, vicino al confine con Lussemburgo e Francia. Le vigne di Mosella e Rheingau, insieme a Nahe e Rheinessen sono quelle dove il riesling viene meglio e soprattutto si presta particolarmente all’invecchiamento, all’affinamento.
La degustazione di oggi prende in esame solo il meglio del meglio e infatti proveremo i riesling delle vigne più vocate, nella parte centrale.
Qualche numero? Pochi.
Abbiamo circa 9 milioni di ettolitri di riesling per anno, con una resa nella zona della Mosella di circa 70 hl/ha.
Relativamente poche bottiglie anche perché gli ettari sono 22 mila in totale.
524 sono le storiche vigne che compaiono nelle etichette di 192 comuni coltivati per il 60% a riesling seguiti dal 13% di muller-thurgau e elbling per il 6,4% e cosi via a seguire.
Il pieno sud è l’unica esposizione possibile in Mosella e i terreni sono costituiti di ardesia blu (che in realtà è grigiastra) e rossa.
Sono scisti; la blu riesce ad esaltare più la mineralità e l’acidità e la rossa dà un tono più solare pieno e morbido.
Di recente infine è stata introdotta una nuova classificazione per i vini dolci e secchi, stile Borgogna, che va dal vino di classificazione geografica tipica fino al Cru più esclusivo, in una sorta di piramide della qualità.
Il logo aggiuntivo ‘gg’ in rilievo sul vetro invece si usa solo per i riesling trocken e indica singola vigna.
A questo punto mi viene sempre in mente una considerazione, molto personale, che non sono sicuro sia condivisibile dai più, ma ve la lascio lo stesso, poi, in caso, azzannatemi sui Social.
Ogni volta che mi passa per le mani un riesling tedesco o alsaziano (al limite) mi domando se abbia senso parlare di riesling serio fuori da queste due zone produttive…
Cioè, si viene a perdere tutto. La particolarità del terreno, del clima, della vinificazione, della maturazione, della tradizione, eccetera. Insomma fuori da questi terroir unici il riesling renano potrebbe quasi essere una qualsiasi altra uva semi-aromatica a bacca bianca con una “buona” acidità.
È un “prodotto” diverso direte voi, d’accordo ne sono conscio, ma più ci penso e più bevo riesling tedesco più tutto ciò non mi basta.
Mi sta stretto.
Che poi conosco molti bravi produttori di riesling renano in Oltrepò, Piemonte e perfino in Calabria (si proprio in Calabria) che sono riusciti nell’intento di costruire un’identità al proprio vino.
Ma allora si potrebbe fare lo stesso ragionamento anche per altre uve nobili quali chardonnay, syrah o pinot nero giusto?
Giusto, ecco, ma per quanto mi riguarda con il riesling questa idiosincrasia è molto, molto più accentuata. Un eccesso in pratica.
Ora si beve e quindi concentriamoci sugli appunti di degustazione iniziando con una magnum di Markus Molitor Burger Schlossberg 1985.
11% di alcool, acidità tra 8 e 10 gr/lt e 5 gr/lt di zucchero quindi, diciamo, un riesling secco.
Questo vino ha il classico colore del vino bianco di 30 anni di età ovvero un bel giallo paglierino scarico… Ovviamente sono ironico eh!
Al naso? È pungente stile sottaceto, chi dice finocchio, chi sedano, rafano, crauti e poco altro, forse un accenno di frutta.
In bocca? Limonata, lime, mentuccia, cedro… Con tutta questa acidità ti raschia via il palato. Di bella struttura piena, certo, dal sapore impregnante e nessuna traccia di idrocarburi che, come insegna il buon Bonera, relatore della serata, tradotto vuol dire che fa la parte del neonato e che ha un potenziale di crescita di altri 20 anni almeno perché questo vino è quasi immobile. È probabile anzi che altri 30 anni non siano sufficienti…
Se mai andrò in pensione potrei forse pensare, di riprovarlo.
Sui 150 euro circa in enoteca. Al limite della bevibilità oggi.
JJ Prüm Wehlener Sonnenuhr Spätlese 2004.
8% alcol , 7,9 gr/lt acidità e 45 gr/lt zuccheri.
Questa è la vigna dell’equilibrio, dice Bonera.
Giallo paglierino carico ha un naso di cedro, latte condensato, puzzette da solfatara e uovo o terme. Insomma non ha un profumo gradevole all’inizio e se non sapessi cosa sto bevendo l’avrei seccato.
Ma c’è un ma: è un vino che ha bisogno di tempo per aprirsi.
Ecco che dopo mezz’ora l’uovo marcio e tutto il resto poco gradevole svanisce e rimane il frutto a tutto campo con quell’eleganza data anche dalla leggerissima nota di zafferano della botritis.
In bocca? Beh sintetizzando: dolcezza e leggiadria acida.
Delicatissimo, è una danza elegantissima nella grande sala da ballo della serata di gala più importante alla corte di un Re. Bella scena.
Il balletto fra zuccheri e acidità termina con quest ultima. Una beva travolgente nonostante sia succoso e polposo. Litri su litri, sta sui 60-70 euro.
Meulenhof QMP Wehlener Sonnenuhr 1998 Auslese quindi parzialmente botritizzato (più dello Spatlese di sopra)
8,5% circa di alcol, 8,5 gr/lt di acidità e 55 gr/lt di residuo zuccherino.
Giallo dorato carico. Come per la vista, anche al naso la botrite qui apporta una connotazione più gialla sempre su note delicate di zafferano e ancora sedano e finocchio. Entra in gioco anche la frutta candita poi che conferisce un naso più maturo.
L’assaggio parte dolcino ma chiaramente sostenuto perfettamente dall’enorme acidità.
Poi ad un tratto diventa strano e mostra un carattere duale, disconnesso. Da un lato questa autostrada di freschezza e ai bordi il mare magno zuccherino, senza una vera amalgama.
Purtroppo chiude pure maluccio diventando amaro, piccantino. Sì, non c’è dubbio, chiude male e anche se costa anche un terzo rispetto al Prum non credo che mi mancherà.
Schwaab Kiebel QMP Erdener Treppechen Auslese 1992.
7,6 alcol, 8 gr/lt circa di acidità e 60 gr/lt di zuccheri.
Annata non troppo significativa racconta Bonera, ha però il colore dell’oro antico. Molto bello.
Naso introverso, chiuso, si fatica a sentire qualcosa. Solo un’esplosione di menta, lampante anche all’assaggio, gli conferisce uno stile tipo caraffa di mojito.
Sottile anche al palato, è come una piramide rovesciata che inizia orizzontale con la dolcezza e via via si assottiglia virando a metà bocca sulle note rinfrescanti della menta pura e sul finale di pompelmo.
Per avere un’idea dell’effetto che fa, immaginate di fare una doccia ghiacciata aromatizzata alla menta durante la giornata più calda dell’anno. Mentre mangiate un pompelmo a morsi.
Una bevibilità da campione a tutto campo.
Dimostra poco l’età e, cosa assolutamente determinante, si beve benissimo anche a temperatura ambiente.
24 euro in enoteca è un affarone da non lasciarsi scappare!
L’asso di briscola è a terra e arriviamo al Benedict Loosen Erben QMP Urziger Würzgarten Auslese 1979.
9% alcol e 60 gr/lt di zuccheri. Acidità… boh.
Viene da terreni di ardesia rossa che ricordiamolo, chiama sole, caldo e giallo.
Di un incredibile ambrato antico i sentori sono netti e decisi.
Cera, fumo, cenere, muffetta, zafferano, curry…
Pienotto alla bocca ed esotico, nonostante abbia la mia età, ha ancora, nemmeno a dirlo, una grandissima acidità che fa più da stampella che da autostrada.
È chiaramente un vino facile che non può non piacere e che si fa ricordare ma forse non per sempre.
Cioè 37 anni se li porta alla grandissima ma crediamo che i tempi d’oro siano, come dire, passati.
Più sapido che acido (ma al limite) col passare dei minuti si apre ancora in sentori di castagna, té e corteccia e, cosa molto importante, perde una leggera nota affumicata che ricorda la muffa.
Anche lui, prezzo popolare di 45 in enoteca, che nemmeno un amaro Lucano…
Chiude la batteria il Karlsmüle QMP Kaseler Kehrnagel Auslese 1997
8% alcol, 10 gr/lt di acidità e 82,5 gr/lt di zuccheri.
Il vero vino dolce della serata da un’annata non tanto botritizzata.
Naso sulfureo di idrocarburo (qui c’è), cera a tratti che svanisce in seguito in una nota agrumata.
In bocca è assurdo.
Inizia dolce forte e chiude acido. Acido forte.
In pratica la bocca si contrae man mano che il vino scivola… Prendete un dannato limone acerbo, sbucciatelo e azzannate come se non ci fosse un domani.
Estremo e incoerente, nasce dolce, esotico, in pratica un passito, e chiude acidissimo stile ananas poco matura, pompelmo, limone, acido tartarico puro, ecc.
27 euro comunque ben spesi in enoteca.
Abbiamo concluso. Facciamo il punto della situazione.
Vediamo cosa porto a casa questa sera?
Avevo già la fissa dei riesling ma oggi mi è proprio venuta la malattia (e il portafoglio ringrazia).
Tutti questi vini hanno circa 100 gr/lt di solforosa e si bevono (quasi tutti) meglio dell’acqua.
Mettete in conto un cerchio alla testa quando (non se, badate bene) vi capitasse di esagerare.
Questa sera ci sono andato vicino.
Non c’è vino bianco al mondo che tenga il tempo così bene come un riesling.
Qualche chardonnay di Mersault forse ma dato che non ne ho provati mai così avanti con l’età non posso esserne certo.
Il Prum è eccellente anche dopo un’ora e alla temperatura di almeno 20-22 gradi, del tipo che NON occorre una temperatura di servizio per poterlo apprezzare al meglio. Bevetelo e basta.
Di quali altri vini bianchi potete dire lo stesso? Io fin’ora nessuno.