Quando ho letto la mail non potevo crederci.
Una verticale storica di grandi rossi italiani dal 1967 al 2007 proposta al costo di una bottiglia di vino.
Saranno trascorsi non più di tre minuti e il bonifico era già bello che inviato.
E quando mi ricapita?!
Ah sì, non l’ho detto ancora ma siamo al Vinitaly in una sala strapiena con più di duecento fortunatissimi partecipanti per questo appuntamento voluto da AIS per celebrare i cinquant’anni della manifestazione.
Leggendo i nomi capirete perché non potevo mancare…
1967 – Amarone Bertani
1977 – Rubesco riserva Lungarotti
1987 – Flaccianello della Pieve Fontodi
1997 – Montepulciano d’Abruzzo Riserva Emidio Pepe
2007 – Barolo PerCristina Domenico Clerico
Come dicono i giovani “tanta roba”.
Procediamo con ordine allora partendo proprio dal più giovane.
2007 – Barolo PerCristina Domenico Clerico
La cantina Domenico Clerico si trova a Monforte d’Alba in piena Langa che, per chi non lo sapesse è un territorio mozzafiato che mi emoziona sempre più ad ogni visita.
Sono undici i comuni dove si può produrre barolo ciascuno con una peculiarità, una firma.
A Monforte delicatezza e frutto sono i tratti principali che a molti di noi hanno fatto ricordare “il” pinot nero femmina per antonomasia, la denominazione Chambolle Musigny…
Il PerCristina nasce nella Vigna Mosconi da terreni di origine calcarea che conferiscono ai vini anche un’impronta sapida e minerale
Vino-frutto, chiaramente agli albori della sua vita, con nette fragranze dolcine di lampone, ciliegia e fragola. Balsamico da paura e cioccolattoso con delicati inserti di noce moscata, è anche figlio di un affinamento in “contenitore piccolo”.
Barrique sì, ma usata con sapienza perché non trovo nulla di snaturato in questo vino, nessun “aggravio” di profumi o strizzatine d’occhio da mercato internazionale. È questa venatura balsamica intatta di mentuccia, salvia ed eucalipto a renderlo così profumato.
Acidità da paura in bocca ma non solo, la forza balsamica si avverte anche qui e un importante calore a tutta bocca viene smorzato dall’onda fresca delle erbe officinali. Trama tannica solida d’impatto che si trasforma man mano in una chiusura più morbida, sapida e salina.
Chiaramente giovane, non ha dato ancora tutto.
1997 – Montepulciano d’Abruzzo Riserva Emidio Pepe
Il montepulciano di Emidio Pepe è uno dei miei vini preferiti, lo dico senza remore.
Ogni vino racconta la sua storia e ogni anno è un vino diverso.
La vinificazione avviene in cemento per non spostare nulla o quasi rispetto a quanto dato dalla pianta.
Il 1997 è un vino energicamente fruttato e vivo che fa di ricchezza gustativa e pienezza del sorso i suoi tratti distintivi. Tannino e quasi morbido e nobile in chiusura, sempre di grande fattura e qualità.
È un mix di fisicità e longevità con un lieve cedimento sull’acidità. Forse figlio di un’annata minore, per me lontano dall’eccellenza del 1983 o del 2005 (di cui tra l’altro ho ancora una bottiglia).
1987 – Flaccianello della Pieve Fontodi
Il territorio è quello di Panzano in Chianti nel cuore pulsante del Chianti Classico.
100% sangiovese su terreni scisto-argillosi.
Il galestro è evidente e lo sono anche le sue note tipiche che si ritrovano nel Flaccianello. Salamoia, oliva, sale di salina, terra bagnata, tratto ematico e ciliegia sotto spirito in pout pourri floreale.
Poi ancora ruggine, pietra…
Intensità acida al palato eccellente, bocca elegante, tannino delicatissimo e armonioso che accompagna la persistenza. Completo, armonico ed elegantissimo sangiovese purosangue.

1977 – Rubesco riserva Lungarotti
Nel territorio umbro di Torgiano, sangiovese e canaiolo trovano la loro migliore espressione nella Vigna Monticchio da cui nasce il Rubesco.

Ferruginoso, ematico, sanguigno, scuro, cupo, quasi nero. Gocce di china su ciliegie surmature. In bocca, la sensazione della terra durante la pioggia, non dopo; quel caldo-freddo fatto di sbuffi e folate di vento, di un chicco di caffè, di una manciata di muschio, di un mazzolino di erbe aromatiche.
Eleganza pura in un sorso vivo dal tannino che da subito alza la testa e si dichiara a voce alta, ferma dicendo “Sì, sono io il tannino, il principe di questo sorso”.
Non dimostra affatto 10 anni in più del Flaccianello.
1967 – Amarone Bertani
Si va oltre. Si va ai terziari spintissimi.
Funghi disidratati, barretta di ferro, smalto, vernice penetrano la narice, la sfondano con quel tratto balsamico forte, imperioso, di menta piperita, rosmarino, cappero. Infinito.
Caffè in polvere e cacao amaro, paprika e spezie orientali di coriandolo, cumino quasi. Appestante (in senso buono) come pochi.
E la bocca è di quelle che raramente puoi avere la fortuna di trovare in una vita.
In una parola sola, la sintesi di tutto. Armonia.
Grandissima sapidità, grande tannino e grande acidità. Tre capolavori in perfetta fusione.
L’equilibrio gustativo fatto vino, dovrebbe essere riportato sui libri di testo e preso come termine di paragone per antonomasia, “come il Bertani ’67″…
Tutto per un sorso che ti inebria e ti stordisce con un finale di sigaro. Perfetto, anch’esso per chiudere in bellezza.

Grazie.