Parole di vino non è insensibile agli aspetti letterari e culturali dell’enomondo. Dopotutto, non potrebbe chiamarsi così! Ci piace segnalarvi una poesia di Eduardo De Filippo, E allora bevo:

Dint’ a butteglia
n’atu rito ‘e vino
è rimasto…
Embè
che fa
m’ ‘o guardo?
M’ ‘o tengo mente
e dico:
“Me l’astipo”
e dimane m’ ‘o bevo?”
Dimane nun esiste.
E ‘o juorno primma,
siccome se n’è gghiuto,
manco esiste. 
Esiste sulamente
stu mumento
‘e chistu rito ‘e vino int’ ‘a butteglia.
E che ffaccio,
m’ ‘o perdo?
Che ne parlammo a ffà!
Si m’ ‘o perdesse
manc’ ‘a butteglia me perdunarria.
E allora bevo…
E chistu surz’ ‘e vino
vence ‘a partita cu l’eternita’!

Non siamo in grado di fare una critica letteraria vera e propria, ma possiamo senza dubbio dire cosa ci piace, di questa poesia: l’essenzialità, l’immediatezza, la semplicità lessicale ancorché in forma dialettale. Il vino è solo apparentemente protagonista, ma al centro della poesia si trova il messaggio che De Filippo ha voluto trasmettere, quello che Orazio semplificava in Carpe diem, quam minimum credula postero.

Un sorso di vino sconfigge l’eternità, perché glorifica l’attimo in cui viene bevuto, lo impreziosisce, lo legittima sul calendario perpetuo. Non può andare sprecato, non è il caso di stiparlo per il giorno dopo: sarebbe un’offesa e nemmeno la bottiglia ce lo perdonerebbe.

Il fondamento del vino, quello che amiamo, sta proprio qui: nel vivere pienamente la compagnia di un calice, assieme alle persone a cui vogliamo bene o anche da soli, dedicandoci un momento di riflessione intima, troppo spesso rimandata a data da destinarsi.

Quella di Gigi Proietti è una versione di questa poesia bella e sapientemente interpretata, ascoltatela (e riflettete):