I vini della zona di San Casciano Val di Pesa, nel nord del Chianti Classico, non godono dello stesso prestigio di altri vini analoghi, prodotti magari a pochi chilometri di distanza. Le motivazioni possono essere varie, ma credo si possano sintetizzare con una parola: terroir. Il terreno, infatti, è caratterizzato dalla presenza di alberese, un calcare marnoso dal colore grigio-nocciola, la cui presenza ben diversifica i vini che vi si producono, rispetto ad altri Chianti ottenuti da vigne che insistono su terreni di galestro.

Non è l’unico motivo, però: questa nomea si basa soprattutto sul fatto che il Chianti preso a modello è spesso materico, concentrato, quasi sempre rafforzato da una percentuale alcolica importante.
Il proprietario de La Sala Francesco Rossi Ferrini e l’enologo Stefano Di Blasi, devono aver pensato: ma chi l’ha detto che il vero Chianti si fa solo così? Proviamo a farlo in modo diverso. E così è stato, ma attenzione: da quando lavorano insieme non hanno seguito a tutti i costi il controverso criterio del “famolo strano” allontanandosi dalla tradizione, no. Hanno seguito lo stesso solco che la storia di questi luoghi ha già tracciato, interpretandolo con il materiale che avevano a disposizione.
La filosofia aziendale è quella di fare le cose senza improvvisazione: occorre tempo.
Nella confortevole sala del Ristorante Vun, presso il Park Hyatt di Milano, lunedì scorso Marco Tonelli ha provato con noi, con Rossi Ferrini e Di Blasi quattro prodotti di questa giovane azienda, la cui prima vinificazione risale al 2014. 
Dice Di Blasi: La Sala rappresenta il punto di svolta temporale tra i vini ipertrofici come si facevano un tempo,materici, tridimensionali e il nuovo tempo, vale a dire vini identitari, con grande tensione acida.

L’azienda è giovane e ambiziosa ma le vigne hanno una lunga tradizione vitivinicola, che la stessa famiglia Rossi Ferrini può vantare dal 1941. Ecco il dettaglio dei vini degustati:

Chianti Classico 2013: fermentazione in acciaio, solo una piccola parte fa botte grande. Il frutto emerge infatti con nitidezza. Il finale è caratterizzato da nota quasi amara, da chinotto. Piacevole. 
Chianti Classico 2012: nota tipica di ciliegia e visciola tipica del Sangiovese ma appena più morbida, caratterizzata oltre che dalla nota agrumata riscontrabile nel 2013 anche da un accenno solare, una nota matura. In evoluzione.
Chianti Classico Riserva 2011: l’azienda produce solo 1.500 bottiglie di Riserva. Il legno c’è ma riconosco la delicatezza della nota boisé, unitamente a spezie esotiche lievi e comunque ben armonizzate. Il futuro gli sorride.

Campo all’Albero 2011: 50% cabernet 50% Merlot. Un omaggio alla tradizione dei Supertuscan, la volontà di confrontarsi con un contesto internazionale. Personalmente percepisco la nota verde, vegetale contrariamente a Tonelli, e trovo ancora un naso pulito, schietto, innervato da aromi di chicchi di caffè e cioccolato. La morbidezza figlia del merlot qui gioca un ruolo decisivo. Internazionale.
Conclusioni: La Sala punta a cambiare il modello di Chianti, garantendo territorialità e senza stravolgere le tradizioni. Ci riuscirà? Lo scopriremo presto: la strada, al momento, sembra quella giusta.