Ricevo e volentieri pubblico, come si dice spesso nelle testate che contano, un articolo di Gianpaolo Arcobello Varlese:

Ho acquistato il Desiderio 2006 circa tre anni fa, in uno dei miei primi viaggi toscani in quel di
Montepulciano. Il vocato terroir mi spinse a visitare diverse aziende nel
raggio di pochi chilometri, da Poliziano a Tenuta S. Anna, da Icario a Salcheto,
ragion per cui era “doverosa” una capatina da Avignonesi.



Non sono certo il primo e non sarò l’ultimo a descrivere l’ospitalità riservatami,
l’impeccabile sistema aziendale, i meravigliosi filari che addolciscono le colline
poliziane, ma devo dirlo: fare visita da Avignonesi è vivere per davvero ciò
che tutto il mondo immagina della campagna toscana. Ti guardi intorno e dici
“l’avevo immaginato proprio così”.


Era il 2010, ma mi sembrano passati dieci anni.
Non per una questione di trascorsi di vita, ma dal punto di vista… gustativo.
In quel periodo ero affascinato dall’affinamento in barrique e dagli uvaggi
francesi in purezza, oltre che dai vari “supertuscan” ovviamente. Poi
un giorno provai il Selvans di Stefania Mezzetti, impeccabile merlot di
Cortona, e scattò in me il desiderio di provare qualcosa al top proprio nella
DOC Cortona.
Da quel desiderio al… Desiderio di Avignonesi il passo fu breve. Dopo
l’acquisto decisi che l’avrei dimenticato in cantina per fargli prendere almeno
un lustro di polvere.


E con un salto spazio-temporale-narrativo arrivo ai giorni nostri, in cui il
mio gusto e le mie preferenze sui vini sono cambiate radicalmente: ora
prediligo vini snelli, possibilmente bianchi quindi niente uve bordolesi, vini
magari giovani, in cui le note dure prevalgono su quelle morbide e la
barrique… che pesantezza! speriamo di non incontrarla spesso.


Immaginate il sottoscritto ogni volta che si trovava in cantina a dover
scegliere un rosso da aprire: quando i miei occhi si posavano sul Desiderio
trovavo sempre un motivo più o meno valido per non aprirlo, convinto comunque
del fatto che potesse ancora riposare ed evolversi.
L’altra sera però la bottiglia di Avignonesi mi ha chiamato (mi piace l’idea
che siano i vini a scegliere noi e non il contrario) e non ho opposto
resistenza a quel nettare di merlot.
Lo stappo, lo verso nel mio calice e… lui in un attimo spazza via tutti i
pregiudizi che avevo nei suoi confronti.


Il colore è un rubino splendente piuttosto carico e disegna archetti fitti e
piuttosto regolari.
Lo bevo e penso “ecco, il solito marmellatone…” e
invece… sorpresa!!! Il Desiderio scorre agile ed elegante, nel calice come al
palato. E’ “leggero” (per dirla alla Ligabue) nella sua aristocratica
consistenza e per nulla materico, il che è solo un pregio dal mio punto di
vista. 

I profumi poi sono netti, puliti e non del tutto convenzionali od omologati,
qualità che lo sdogana definitivamente dall’immaginifico status di “MattonePiacioneAnni90”. 


Una piacevole balsamicità fa da sfondo a un susseguirsi di sentori da leggere
tutti d’un fiato: pot -pourri, noce moscata, pasta di mandorle, resina, cuoio,
lieve sentore silvestre, litchi, marron glacès, e poi babà al rum, il tutto
sostenuto da un’acidità non più esuberante e comunque discreta, quel tanto che
basta per eliminare “l’effetto stanchezza” nei successivi assaggi.
Gradevole, infine, la PAI: non lunghissima come forse ci si aspettava e tuttavia si è dovuto ricorrere alla seconda mano per contare i secondi.

In conclusione, sicuramente il Desiderio non è un morbidone, di quelli tanto
amati oltreoceano, ma chi lo ha creato ha saputo accontentare tutti i
palati, con lo sguardo in Europa e il pensiero al resto del mondo. 

           
E
non è affatto una cosa semplice. Chapeau!!!