Volevo intitolare questo post qualcosa come “Le fatiche del giovane (si fa per dire) avventore alle degustazioni milanesi” ma poi ho pensato che forse non avrei reso giustizia ai vini (e in parte all’evento stesso).
È la “prima” (è la prima?), poteva riuscire meglio? Come qualsiasi manifestazione pubblica, chiaramente sì.
L’impegno c’è, nulla da dire e l’attenuante del primo anno non posso non considerarla.
Consideriamo analiticamente la questione.
Aspetti positivi: posizione strategica ‘n coppa al Duomo di Milano, accoglienza, selezione interessante di etichette, cibo e pietanze cucinate di qualità.
Dal salame alla tartina al paté di tartufo ai tocchetti di formaggi assortiti al risotto allo zafferano, con vero zafferano, salatino a dire il vero, ai tortelloni ricotta e spinaci, perfetti.
Aspetti negativi: carenza di comunicazione con il pubblico, ressa smodata, spazi inadeguati soprattutto al piano alto per via della sensazione di “budello” generale, problema ascensori insormontabile.
Signora si segga, ci sono delle complicazioni.
Non vi voglio tediare con i dettagli ma ho dovuto prendere una laurea per recuperare un calice, e fare cinque piani a piedi fra su e giù. Poi ce l’ho fatta ma nonostante fossi tronfio di cotanto calice ho realizzato di aver perso quell’attimo fuggente di calma. La colonna umana aveva già invaso tutti gli ambienti.
Per il prossimo anno il focus sarà aggredire il banchetto e tenere la posizione, oggi le incursioni sono state gioco/forza mirate ma devo dire anche molto interessanti.
Prosecco Superiore extra dry da vigne a 300 mt di altitudine.
Interessante che la prima fermentazione avvenga con lieviti indigeni e la seconda, quella in autoclave, in stile più classico. Un vigneto abbastanza incontaminato figlio di una coltivazione assennata che prevede solo l’uso di zolfo e rame e nessun trattamento chimico.
Nei rossi di loro produzione inoltre, zolfo e rame si trasformano nei più innocui trattamenti di propoli e silicati… Un risveglio delle coscienze? Mi piace pensarlo.
Semplice come ci si aspetta, mi convince per un equilibrato dosaggio zuccherino e soprattutto per un’estrema pulizia che mi fa apprezzare meglio le note di pesca e pera.
Ripasso 2009.
2009? Hanno portato annate “vecchie”, nel senso che non sono le ultime in commercio.
Amici vignaioli credo che potendoselo permettere come numeri e, in relazione alla tipologia di vino, dare la possibilità di degustare un’annata vecchia vi faccia molto onore e anche un gran bene perché fornisce una chiave di lettura più completa e una visione del vostro vino in prospettiva.
I sentori infatti sono piuttosto evoluti: amarena, caffè legni aromatici, tutti ben fusi in una grande armonia, ruffianella certo, che in bocca si traduce in una morbidezza generale per un vino di medio corpo che mostra un tannino ancora gioioso in grado di equilibrare qualche cedevolezza soprattutto sul finale.
Non si può non apprezzare.
Chiaramente è un vino profondamente diverso che a dieci anni di età mi sembra ancora in divenire.
Naso giovanotto e a tratti contratto, il caffe c’è sempre che assume i toni amaretti del cacao e l’amarena è ben presente anch’essa soprattutto al palato.
L’esplosione vera è in bocca ed è la freschezza la regina del palato che concede lunghezza, gradevolezza e tensione al sorso.
Il tannino di grande presenza, di troppa presenza, è la conferma che l’evoluzione di questo vino non è che all’inizio. Nessuna nota mattonata e colore integro.
Da Marchesi di Barolo la ressa per un sorso di Barolo Coste di Rose 2011 è grande.
Ma come un Barolo 2011 dopo un Amarone 2005? Come dicevo la ressa è grande e poi un paio di minuti ad acqua aiutano a resettare il cervello.
Acqua di rose, violetta, puot pourri e chiusura salina al naso con finale di marasca.
Me lo aspettavo piu ruvido. Il tannino non è un camionista pazzo che corre a duecento all’ora sulla statale ma, per rimanere in tema, il camion c’è e, come dire, allappa un po’.
La componente migliore di questo barolo è sicuramente il finale lungo e sapido appena amaro.
Bel vino appagante.
Vi presento adesso un grignolino che vuole fare il vino bianco. E aromatico per giunta.
Grignolino d’Asti 2013 Alemat.
Alla cieca giuro che l’avrei scambiato per un sauvignon friulano. È strano sì, eppure i profumi sono quelli.
Il bosso che vira su foglia di pomodoro che vira ancora in una nota balsamica di mentuccia e lavanda. Che freschezza! Una brezza montana che si apprezza been anche a temperatura ambiente.
Gli manca giusto quel ciccinin di sapidità…
Lo Champagne, se c’è, si deve provare giusto? E c’era Encry con il Grande Cuvée Zèro Dosage Grand Cru Millesime 2009, 36 mesi sui lieviti e 100% chardonnay .
Naso polveroso come vuole la tradizione di un grande Champagne, di crema pasticcera e bignè tutto in chiave elegantissima e incredibilmente sostenuto da una splendido tratto acdio agruma
to di citronella.
Suadente e sinuoso. Erotico si può dire? Diciamolo.
Chiudo con una vecchia conoscenza; il Chianti Classico Riserva 2011 di Querciabella.
Bella annata la 2011, giusta, quasi perfetta.
Ricordate il paradigma. Il territorio del Chianti (a parte la zona di San Cascinano), tira fuori dal sangiovese due componenti essenziali e fortemente caratterizzanti: sale e olive in salamoia.
Questo non fa eccezione e infatti il tratto salino è distintivo ancor più che la macchia mediterranea o il frutto rosso di amarena e marasca.
In bocca diventa tridimensionale. Due dimensioni non sono abbastanza e oltre salinità e freschezza, il tannino addolcito e vivo, aggiunge invece di togliere.
Il legno è il segreto per ingentilire senza appesantire o sminuire il sorso, perché sappiamo bene che se usato male, al contrario annebbia e confonde. Le botti da 500 litri sono di secondo o terzo passaggio e la tostatura leggera.
Ecco la quadra; ecco l’equilibrio fra brio, dolcezza del legno e profondità di profumi e sapori primari. Grande vino.
Insomma tirando le somme, grande afflusso da successone, oppure al contrario, la solita ressa milanese, bella location in Piazza Duomo, ma per tutta questa gente anche no.
Aggiustando qualche altra piccola grande imperfezione sarebbe carino rivederci qui il prossimo anno.
Aggiustando qualche altra piccola grande imperfezione sarebbe carino rivederci qui il prossimo anno.
Cioè non proprio qui che “mi sento stretto” come dice Caparezza, ma da qualche altra parte.