Il mondo corre velocemente, verso un futuro digitale e in un certo senso imperscrutabile, fitto di nuove possibilità e vecchi dilemmi.  L’elemento di novità del ventunesimo secolo è l’avvento di una tecnologia esasperata ed erga omnes che, come una sorta di pioggia salvifica, investe tutti settori della civiltà: lavoro, famiglia, salute, tempo libero, beni e servizi passano tutti – inesorabilmente – dal silicio dei moderni pc e dagli OLED dei nostri smartphone. Se vogliamo nel palmo di una mano possiamo concentrare milioni di informazioni, motivo per il quale spesso è necessario sintetizzare concetti sofisticati, per veicolarli più velocemente possibile: con questi presupposti nasce l’indice Bigot, dal nome dell’agronomo – Giovanni Bigot – che lo ha elaborato, presentato lo scorso primo febbraio presso la sala degustazione di Castello di Cigognola.  Testimone e sostenitore d’eccezione è stato Angelo Gaja, un nome che non ha bisogno davvero di ulteriori descrizioni.

Gaja è il consueto vulcano di aneddoti ricchi di sapienza, intrisi nell’esperienza e nel talento che lo caratterizza. Parla di come si trattava il vigneto quando lui ha iniziato a occuparsi di vino, quando si faceva largo uso di diserbanti. E poi: “Negli anni 80 e 90 i consulenti erano tutti specializzati in pratiche di cantina, quasi mai in vigna. Sono gli anni dei recipienti in acciaio al posto del cemento, solo dopo si è arrivati a capire che non è possibile raggiungere vini di qualità senza uve di qualità. I primi produttori di vini naturali producevano vini con difetti anche importanti: il vino passava nella testa prima ancora che al palato per cui introducevano un concetto nuovo: il vino va accettato ideologicamente per quello è”.

Il produttore del Sorì San Lorenzo approfitta dell’occasione per tornare a proporre a un pensiero che tanto gli sta a cuore: per il futuro occorre investire nella ricerca, utilizzare i fondi per l’agricoltura per individuare -per esempio – strumenti di lotta biologica sostenibili o lieviti che producano meno alcol.

Giovanni Bigot, 47 enne agronomo friulano, nella sua carriera ha raccolto una quantità importante di dati, provenienti da oltre mille vigneti dei più vocati territori italiani e nel mondo. Un database formidabile, ma difficilmente decifrabile se non in presenza di una chiave tecnica: come tradurre, allora, tutte le informazioni e metterle a disposizione? Bigot ha pensato di creare un indice numerico, sintesi di quante più caratteristiche possibili del vigneto.
L’indice si basa su nove parametri agronomici, tra cui la superficie fogliare, la morfologia del grappolo, lo stress idrico e il vigore. Nel criterio di quantificazione dell’indice i nove parametri, di facile rilevazione, non hanno tutti il medesimo peso: questa è stata una delle sfide più difficili che Bigot ha dovuto affrontare.

L’indice Bigot ha l’ambizione di fornire al produttore un ausilio per raggiungere l’obiettivo enologico, organizzare la scelta vendemmiale e – più in generale – di rappresentare uno strumento di autovalutazione per il viticoltore, una mappa che indichi la strada da seguire per migliorare i settori del vigneto che manifestano carenze.

Per agevolare la raccolta dei dati Bigot ha creato un’app, 4grapes, in grado di fornire un supporto organizzato, allo scopo di avere costantemente aggiornata la descrizione dettagliata della situazione dei propri vigneti. Numeri, quindi: ancora una volta, il futuro sembra passare obbligatoriamente da cifre e analisi matematiche, sulla strada di certezze inscalfibili. Dopotutto, come diceva Robert Anson Heinlein:

 Se qualcosa non può essere espresso in numeri non è scienza: è opinione