Lo aspettavamo con impazienza. Nel piccolo circuito di appassionati e professionisti che frequento in tanti eravamo desiderosi di entrare al Palazzo del Ghiaccio di Milano per la quinta edizione del Live Wine. Perché? Presto detto: è una fiera-mercato che seleziona i vignaioli secondo alcuni importanti criteri, già utilizzati da altre associazioni e spesso – quasi sempre ma non sempre – garanzia di qualità. I vini che troviamo al Live Wine, per esempio, sono prodotti e imbottigliati da vignaioli protagonisti in prima persona in vigna e in cantina, provengono da uve raccolte a mano e
da vigneti non trattato con prodotti chimici di sintesi e – last but non least – non contengono additivi non dichiarati in etichetta: qualcuno li potrebbe chiamare “vini artigianali” e devo dire che l’accezione positiva del termine – semmai ve ne fosse una negativa – ci piace. Ma non basta: il Live Wine ci affascina per la capacità di presentare vignaioli veraci, persone e non personaggi, come già scrivemmo quattro anni fa. Donne e uomini che sanno parlare di vino, hanno spesso le mani segnate dal lavoro in vigna e hanno sempre – e dico sempre – gli occhi brillanti, quando parlano dei loro vini.

Siamo sempre stati al Live Wine, sin dalla sua prima edizione: possiamo dire, non senza orgoglio, di averne compreso le potenzialità: era il 2015 e si avvertiva pienamente l’importanza di comunicare un vino relativamente salubre, oltre che buono. Un vino sostenibile. Oggi non c’è fiera, mercato, evento grande o piccolo che sia che non dedichi spazi ai vini naturali, nelle sue diverse sfaccettature. Al Live va dato il merito di aver proposto a Milano un evento dedicato a queste piccole grandi realtà. Ve ne raccontiamo brevemente due:


La prima è al suo esordio al Live Wine, si tratta di Nuzzella: meno di due ettari sul versante est da Muntagna, l’Etna. Presentano due spumanti, tra cui uno davvero interessante: Blanc de Noir 2015, nella versione Pas Dosé, nerello mascalese 100%, diciotto mesi sui lieviti. Sapido, decisamente tipico, dinamico e appagante. Non si confonde con nient’altro e non ci tiene a farlo. E il nerello mascalese Selmo 2017, che scalpita ancora, ma che porta con sé i caratteri di un vino dalla stoffa fine.
Luca Francesconi ci aspetta al suo banchetto, per farci provare i vini Josef: i vigneti aziendali si trovano là dove il Mincio si sposa col Garda. La filosofia, di matrice biodinamica, è piuttosto chiara: rilevati alcuni vigneti nel 2014, Luca ha provveduto a una selezione massale importante su vecchie vigne, alcune delle quali ancora franco di piede. Naturalmente i vitigni protagonisti sono quelli tradizionali del Garda, come la Rossanella, la Negrara , il Tocai di San Martino o la Rondinella. Una rivoluzione, la Garda Revolution, se pensiamo che in queste terre spopola il trebbiano di lugana. Menzione speciale per la Garganega 2017, frizzante, ottenuta con l’ausilio di una piccola parte di Tocai impiantato negli anni venti.