Organizzare un evento di vignaioli e vignerons artigiani a Milano è stata una scelta azzeccatissima, un miscela esplosa in mille schegge, tutte belle, tutte positive. Innanzitutto portare i vini artigianali nella raffinata vetrina milanese ha avuto una risonanza enorme in tutti i media. Poi la location: il Palazzo del Ghiaccio sembrava fosse stato costruito apposta per un evento del genere, con tutti gli stand facilmente rintracciabili, grazie anche all’opuscolo fornito all’ingresso, le sale “a vista” ma insonorizzate riservate alle degustazioni e le giuste suddivisioni tematiche dei produttori di vini, cibi e altre bevande. Encomiabile anche l’organizzazione delle Live Wine Night, serate in cui gli artigiani del vino hanno presentato i loro prodotti in diverse enoteche meneghine, un modo di creare confronti produttore-consumatore ben più caldo e informale del fieristico stand.
Un evento dunque che si è perfettamente incastonato nella grandeur della città che lo ha ospitato, quella Milano che ha largamente apprezzato questa scelta, come testimoniato dalla notevole affluenza in tutti i tre giorni. La nota più lieta è stata però che la natura dell’evento (una fiera di artigiani del vino appunto) non è stata snaturata: i vignaioli erano persone e non personaggi, sempre felici di raccontare i loro vini, gli argomenti di discussione  e le spiegazioni mai troppo tecniche, e i sorrisi si sprecavano, tutti veri e sinceri, non di circostanza. In questo clima poco formale, molto rilassato e a tratti conviviale, è stato quasi naturale parlare anche di altro oltre al vino. E tra una chiacchiera e l’altra gli assaggi non sono mancati, tutti legati dal sottile filo dell'”artigianalità”, riconoscibile dalla Sicilia all’Alsazia, dallo Sciascinoso alla Vitovska. Ne segnalo solo qualcuno, ma la lista avrebbe meritato di essere più lunga:


Emidio Pepe Pecorino 2010. Prima annata prodotta per l’ultimo nato in casa Pepe, vigneti impiantati nel 2005 e identica vinificazione dei “fratelli” maggiori, paradossalmente meno immediato del trebbiano ma ha già la stoffa del grande vino, profondo e al contempo pulito al naso, seppur in fase embrionale e con ogni probabilità in piena evoluzione.  L’impronta fortemente naturale di Pepe è un marchio di fabbrica e accompagna profumi di miele, pera camomilla e susina. Tanta frutta gialla sostenuta da una sottile costante sapida. Emidio Pepe non sbaglia un colpo, avevate dubbi?
Castello di Stefanago: cosa ci fa un muller thurgau in Oltrepò? Me lo sono chiesto anch’io all’inizio, poi il calice ha come sempre fugato ogni dubbio. Provate il loro Metodo Ancestrale sui lieviti e la classica versione ferma, poi mi direte…
Ho provato il Riesling San Rocco: il 2010 era buono ma ancora in via di definizione mentre il 2008 si presentava più completo, minerale, oserei dire roccioso: ha ancora molto da dire nei prossimi anni.

Puro Rose 2006 Movia. Blend di pinot nero, ribolla gialla
e pinot grigio. Rifermentato in bottiglia con aggiunta non di liqueur ma di mosto fresco. E’ un rosé ma forse sarebbe meglio definirlo un cipollé per via del colore tendente all’aranciato. Vino coi lieviti in bottiglia e operazione di sboccatura lasciata al consumatore. Senza addentrarmi nella discussione se ciò sia giusto o meno, mi limito a dire che è una bollicina freschissima, immediata, piccoli frutti rossi croccanti all’impatto, poi erbe officinali e finale di nocciola con sfondo di crosta di pane. Bevibilità estrema, da berne a camionate.


Agricola Cirelli: siamo ad Atri, sulle colline teramane. Questa bella realtà, totalmente vocata al biologico, produce vino, olio e alleva oche, dalle quali ottiene ottimi insaccati. Spicca il Trebbiano 2014,  solo acciaio e cemento:
personalità da vendere – altro che vino base –  ha una struttura insospettabilmente solida e un’acidità mai doma. Il Cerasuolo 2014 ammalia coi suoi molteplici profumi di frutti rossi, ha una gran bella tensione gustativa rimanendo al contempo estremamente beverino e piacevole.

Costadilà 280 slm o più semplicemente vino arancione. E’ così che lo ha chiamato Gigi, vero mattatore dell’evento e simpaticissimo intrattenitore nel suo stand. Lui più di tutti ha rispecchiato sincerità, convivialità e schiettezza racchiuse nel Live Wine. Un signore affondava il naso nel calice alla ricerca di chissà quali profumi, e Gigi “Basta che mi dici se ti piace o no!“. Una ragazza non ricordava il nome del 280 slm e Gigi l’ha prontamente aiutata “ma sì, il vino arancione, ci capiamo lo stesso”. Insomma, calca costante intorno allo stand di Costadilà, per la simpatia di Gigi ma soprattutto per la bontà dei vini. Il 280 slm è un blend di glera, verdisio, bianchetta gentile e perera (per via dell’acino a forma di pera), le uve che coesistevano nel trevigiano prima che il Prosecco facesse piazza pulita. Vigneti di 40 anni, uve a contatto con le bucce per 25 giorni. Un vino dritto, elegantemente minerale e con un finale amarognolo che invita continuamente a berne ancora. Forse comincio a capire perché hanno deciso di fare anche delle magnum…

L’InviNato Speciale