Quando si parla di abbinamento per le ostriche gli appassionati di vino sanno bene che la risposta non è facile: superata la suggestione dello champagne, le cui caratteristiche mal si accompagnano a quelle del prelibato mollusco, il responso più diffuso corrisponde al francese Muscadet. Vero: vino minerale e salmastro, sembra fatto apposta per essere degustato vicino a un plateau royal. Ma è l’unico abbinamento possibile o nello sterminato mondo del vino c’è qualcos’altro che può soddisfare questa esigenza? FISAR Milano ha cercato di dare una risposta al quesito, organizzando lunedì scorso un approfondimento dedicato alle ostriche in abbinamento con un grande bianco classico nostrano: il Gavi. Le verticali sono state due: uno per il vino e una… per le ostriche. A condurre le danze per FISAR Lorena Lancia ed Emiliano Marelli.
Il vino
Il cortese è un vitigno piemontese del quale si parla poco: ha solo una “colpa” grave, quella di essere autoctono in una terra celebre per i rossi. Eppure il corteis, come lo chiamano i vignaioli locali, ha una forte tradizione che affonda le radici – è il caso di dirlo – già del diciottesimo secolo. L’invasione di fillossera che colpì l’Italia negli ultimi decenni del 1800 contribuì alla drastica riduzione di impianti di cortese, fino a quando Mario Soldati agli inizi degli anni cinquanta non lo ripropose al grande pubblico.
Il co-protagonista della serata è stato lui, un vino da uve cortese: il Gavi Riserva Vigna della Rovere Verde della cantina La Mesma, azienda a conduzione famigliare… tutta al femminile! Erano presenti in sala Francesca e Anna che con la sorella Paola e ciascuna con una propria professionalità in altri campi hanno avviato la cantina nel 2001, partendo con due ettari vitati a Monterotondo. Oggi gli ettari sono diventati venticinque, due le tenute e i vecchi lavori cittadini… sono solo un ricordo. La cantina è a conduzione biologica e aldilà dei certificati quello che più conta è la filosofia con cui si fa il vino a La Mesma: sovescio e potatura Simonit & Sirch sono solo due degli accorgimenti utilizzati, finalizzati a una produzione sostenibile nel rispetto della biodiversità. La Mesma è l’unica azienda tra le 400 presenti a Gavi che produce tutte le tipologie previste dal disciplinare DOCG; detto per inciso, a La Mesma si producono solo vini da uve cortese. Ce n’è abbastanza per capire l’amore che Paola, Francesca e Anna nutrono per questo vitigno, no?
Vigna della Rovere Verde 2014 mostra un bel giallo verdolino che ne denuncia l’esuberante gioventù: i primi profumi sono di fiori bianchi, su uno spartito profondamente vegetale. Segue una nota burrosa, che si ripeterà anche per i vini successivi, con sbuffi di anice e leggero idrocarburo. Al palato è tutt’altro che spigoloso: una buona morbidezza lo caratterizza, ben bilanciata da garbata sapidità. L’annata 2013, confermano Francesca e Anna, è stata particolarmente difficile. La Riserva di questa stagione si manifesta con un bel giallo paglierino e riflessi verdolini evidenti. Il naso è più composto, rispetto all’annata 2014: acacia, un po’ di melone e numerose note saline, quasi piccanti. Riscaldandosi un po’ emerge la parte fruttata, fondata su sentori di nespola gialla e mela. L’assaggio è coerente con quanto avvertito al naso: esordio pacato e allungo ben sostenuto da salinità minerale.
Vigna della Rovere Verde 2012 è, tra le quattro annate, quella che mi ha convinto di più. Intanto per l’espressione olfattiva: nitida, decisa su profumi di giglio, uva spina, cioccolato bianco e selce, ravvivati da sbuffi piacevoli di maggiorana. E poi il sorso, fine, di calibrata sapidità, gradevole corrispondenza gusto-olfattiva e dal finale leggermente ammandorlato. Infine Vigna della Rovere Verde 2011, la prima riserva prodotta da La Mesma. L’evoluzione è evidente, già dal colore che ha perso ogni riflesso verdolino mantenendo una livrea quasi dorata. Al naso non c’è traccia di aromi vegetali che hanno fatto spazio a note di camomilla, ginestra, litchi, crema di limone. Avvio morbido al palato, comune a tutti gli assaggi di oggi, e progressione imperniata da un bel balletto tra sapidità, freschezza e corpo.
Le ostriche
Cosa sappiamo delle ostriche, oltre al fatto che sono apprezzatissime nelle cucine di tutto il mondo? La presentazione arriva direttamente da Giorgio e Marina, titolari del noto ristorante milanese La Cozzeria. Marina si rivolge ai presenti con vera passione e tanta competenza.
L’uomo mangia ostriche praticamente da sempre: facile da catturare, rappresenta un elemento importante nella dieta nel bacino del Mediterraneo sin dalla preistoria, passando per Cheope e i Romani, che ne fecero un pasto elitario. Pare che Cicerone ne mangiasse parecchie, nella convinzione che i principi nutritivi delle ostriche favorissero l’eloquenza. Se fosse solo un pretesto, era molto buono! Durante il medioevo il consumo cala notevolmente per poi riprendere durante il Rinascimento. Fu Napoleone III nel 1853 a firmare il “Regolamento sulla sicurezza della pesca marittima costiera”, un precursore assoluto a cui molti, in futuro, faranno riferimento.
Le ostriche sono molluschi erbivori, ermafrodite. La loro produzione va incontro a numerose variabili che ne minacciano la sopravvivenza: dalle correnti marine ai predatori, per la larva giungere a vita compiuta è una vera impresa. Marina spiega che le ostriche in degustazione sono Fines de claire Marennes-Oléron, provenienti quindi dalla zona di produzione più prestigiosa in Francia: l’unica DOP al mondo in fatto di ostriche, che vengono allevate in vivai in mare e poi trasferite in specchi d’acqua più piccoli, i famosi claires, piccoli bacini concavi scavati nell’argilla. Perché questa regione è così importante? Semplice: perché le condizioni naturali presenti sono ideali per l’ostricoltura. Il bacino marino, infatti, è ravvivato da correnti e maree che ne garantiscono un continuo ricambio di sostanze nutritive per le prelibate huîtres. Risentono molto del luogo dove vengono allevate: ostriche nate nello stesso posto ma trasportate altrove per l’allevamento avranno senza dubbio un sapore diverso. A proposito di sapore, piccola nozione di degustazione: nelle ostriche si possono percepire tre tipologie di sapori. Il sapore primario, con sentori di mare, il sapore secondario, con note vegetali date dal terroir e infine il terziario, dato dalla carnosità dell’ostrica e declinato su sensazioni di frutta secca.
Perché oggi parliamo di verticale? Perché il calibro delle ostriche di oggi varierà dalla numero 5 alla numero 2: il calibro non indica la grandezza del mollusco, come molti pensano, ma il peso. Sia chiaro: abbiamo degustato le ostriche nell’unico modo possibile per noi puristi, vale a dire versandole in bocca direttamente dal guscio con tutta la loro acqua, che è un elemento caratterizzante ai fini organolettici. Niente pepe o – men che meno – limone. Iniziamo con una fine de claire n. 5: non molto grossa, fa percepire sensazioni primarie, decisamente: acqua di mare pulita e iodio, consistenza moderata ma appagante. A seguire la fine de claire n. 4, appena più grande della precedente e anche leggermente più carnosa. Ha un gusto più dolce, meno salino, ma anche una persistenza più accentuata. Fine de claire n. 3 nonostante il guscio più grande delle precedenti ha un frutto dalle dimensioni molto simili. Qui le sensazioni iodate si alternano a quelle metalliche, rilasciando una prolungata sensazione… di mare e di cetriolo. La fine de claire n. 2, infine, ha un guscio ancora più grande, contiene più liquido e il frutto è anche gelatinoso. A me sembra che profumi anche di più, ma è in bocca che mi sorprende: è soda, quasi scrocchia sotto i denti, ha un sapore intenso e sempre piacevole, lunga persistenza e finale di nocciola.
L’abbinamento
Abbinare le ostriche con un vino, lo abbiamo detto, non è facile. Come si è comportato il Vigna della Rovere Verde? In tutti gli abbinamenti abbiamo registrato un alternarsi di sensazioni marino/iodate/salmastre con le sensazioni gustative date dal mollusco quasi sempre preponderanti. Ma il Gavi non ha mai ceduto di schianto, va detto, anzi. L’accoppiata che mi ha convinto di più è stata quella composta dall’ostrica fine de claire n. 3 con l’annata 2012: la percezione gustativa è stata a lungo in equilibrio, con le note ammandorlate del vino a tratti bene in evidenza. Lo scopo della serata è stato comunque raggiunto: conoscere due realtà diverse tra loro ma con molte affinità, non ultima la difficoltà di raggiungere un livello qualitativo come quello provato stasera. Ostriche e vino si danno la mano, anche in verticale.