Amiche e amici appassionati del buon vino, ecco il terzo e ultimo appuntamento con Road to Vinitaly: i nostri disinteressati consigli per non perdersi nell’oceano della Grande Fiera di Verona. Ribadiamo che in questi articoli non consigliamo i grandi nomi ma, tendenzialmente, piccoli e medi produttori, salvo qualche eccezione che eventualmente sapremo motivare a dovere, cantine che abbiamo già provato o che intendiamo provare noi stessi. Perché il vino è ricerca. Lo diciamo sempre, a volte troppo spesso.
Nota: non abbiamo la certezza che i vini indicati saranno effettivamente in degustazione. Il numero dello stand è desunto dal catalogo ufficiale Vinitaly 2018.
Padiglione 2
Iniziamo dal sud più sud, con i vini siciliani. Una cantina che ci sta molto a cuore: Centopassi (stand 93F), braccio vitivinicolo delle cooperative Libera Terra, la cui mission è quella di ridare dignità a territori dove è forte la presenza della criminalità organizzata, partendo dal recupero produttivo ma prima ancora sociale delle aree confiscate alle mafie. Noi vi consigliamo il loro Tendoni di Trebbiano: un trebbiano già. Perché è buono, semplicemente. Nell’isola del carricante e del catarratto, fare un trebbiano può sembrare un sacrilegio: no. Provatelo e capirete perché.
Andare nel padiglione dei vini siciliani al Vinitaly senza provare almeno un vino dell’Etna è severamente vietato. Tra i tanti andremo sicuramente allo stand di Santa Maria La Nave, azienda che coltiva a oltre mille metri sul versante nord ovest dà Muntagna, per (ri)provare Millesulmare, grecanico dorato di forza e beltà impressionanti.
Baglio del Cristo di Campobello (stand 70E) è una realtà ormai affermata, forgiatasi negli anni con una costante produzione qualitativa. Fondata nel 2000, trenta ettari a Campobello di Licata per trecentomila bottiglie l’anno, la cantina ha scalato i vertici qualitativi dimostrando che anche dietro i grossi numeri può brillare la luce del vino buono. Tutta la linea dell’azienda capitanata da Carmelo Bonetta è pregevole, ma noi vi consigliamo senza paura di provare Lu Patri, nero d’Avola profondo ed espressivo come pochi.
Padiglione 7
Andate a provare i vini di una cantina calabrese con un bellissimo nome: Spiriti ebbri (stand B4-B6). Nome bellissimo e idee chiare: si definiscono produttori di vini naturali e ce li hanno consigliati in tanti. In particolar modo Neostòs bianco, da uve pecorello, autoctona poco diffusa. Una vera chicca.
Padiglione 8
L’isola… dei vini sardi. Che non sono particolarmente noti per gli spumanti, ma noi ne abbiamo scovato uno davvero buono: Filighe della cantina Vinicola Cherchi (stand A1). L’azienda è a Usini, nell’entroterra sassarese, zona davvero storicamente vocata per viticultura di qualità. Filighe è un metodo classico da vermentino, uva che tra l’altro sempre più spesso va incontro ai miei gusti personali, specie nella classica versione secca ferma. In questo spumante si possono ritrovare caratteristiche da vino di facile beva, per aperitivi estivi o pasti leggeri, unite alle tipiche peculiarità del vermentino, compresa il finale ammandorlato che spesso lo accompagna.
Più di cinque anni fa provammo il Vermentino superiore della Cantina sociale Giogantinu (stand C4-5). Ci piacque assai! Ci vogliamo ritornare, per risentire la sinfonia olfattiva di mare e di terra, e la nota sapida ben bilanciata e sostenuta da acidità tutta varietale. Amarcord.
Sardegna, nell’immaginario collettivo degli appassionati dei vini rossi, equivale a dire Cannonau, è vero. Ma noi vi vogliamo indirizzare a qualcosa di diverso, stavolta: Cayenna di Tenuta Asinara (stand C3-3). Un vino ancora del sassarese, ottenuto da vigne vicine al mare. Blend completamente alloctono di grenache, syrah, cabernet sauvignon, cabernet franc e merlot. Poche bottiglie prodotte, nemmeno 2.500. Ma chi l’ha bevuto ha assicurato balsamica ampiezza olfattiva da supereroe e gusto eccellente, con importanti potenzialità di invecchiamento. Un campione del presente, una leggenda del futuro.
Padiglione 11
La casa dei vini pugliesi, una regione in forte ascesa e che sta definitivamente scrollandosi di dosso l’etichetta di “regione serbatoio” per le denominazioni del nord.
Un vino bianco in una regione che ha nei rossi il proprio punto di forza? Ce l’abbiamo! Nella vigna “Zingariello” a 600 metri sul livello del mare crescono le uve del Greco di Botromagno (stand B2), a Gravina di Puglia. Non sono uve “qualsiasi”, ma frutto di una selezione clonale pluriennale che ha permesso di isolare un clone di greco definito “mascolino”. Anche questo vino non lo conosciamo, ma siamo affascinati dall’idea di provarlo.
Ora dritti da Tenute Rubino (stand G3), per provare un vino da uva autoctona, poco conosciuta ma molto apprezzata: il susumaniello che in Oltremè si esprime con carattere fruttato e gioviale e trama tannica setosa da vino elegante ed estremamente piacevole. Autoctono con stile.
Poteva mancare un rosato? Ma no! Il Rosato di Polvanera (stand C5) gioca con le sfumature olfattive, spaziando dai frutti agli agrumi, passando per uno spartito delicatamente speziato. E in bocca sorprende, per intraprendenza e dinamismo. Blend di aleatico, aglianico e primitivo.
Padiglione B
Vini campani, che piacere.
Conoscete l’Asprinio di Aversa? Se la risposta è “no” (ma anche se è “sì”) fiondatevi alla velocità della luce da I Borboni (stand 1-CE) e provate il Santa Patena, asprinio in purezza affinato sulle fecce fini e sottoposto a ripetuti batonnage. Il risultato è un vino che danza sull’equilibrio, offrendo innumerevoli spunti di riflessione e appagamento sensoriale in certi tratti inedito.
Una ventata di freschezza, in un calice di rosso. Effervescente, per giunta. È il turno di Salvatore Martusciello (stand 9-NA) da Quarto, in provincia di Napoli, che nel giro di pochi anni si sta ritagliando uno spazio importante nel panorama vitivinicolo regionale, grazie al suo Ottouve Gragnano della Penisola Sorrentina, da uve piedirosso, aglianico, sciascinoso e un mix di autoctone semi sconosciute ma non per questo poco interessanti. La Campania ha numerose sfaccettature vinicole, e questo vino è l’ennesima dimostrazione – casomai ce ne fosse bisogno – delle sue potenzialità.
Chiudiamo con un omaggio, sotto forma di vino. Perenne riconoscimento a Gillo Dorfles, docente di estetica presso le università di Milano, Cagliari e Trieste e artista dal talento cristallino. Ci ha lasciato lo scorso due marzo, e oggi compirebbe 108 anni.
San Salvatore 1988 (stand 4-SA), di Giuseppe Pagano in quel di Giungano in provincia di Salerno, gli ha dedicato Omaggio a Gillo Dorfles, proveniente da una selezione clonale di aglianico del Cilento, accuratamente recuperata sull’orlo dell’oblio. Lo proviamo per la prima volta anche noi, spinti dalla fama che lo precede e convinti di onorare in questo modo e nel nostro piccolo la figura di una grande mente del nostro tempo.