Il mondo sta cambiando velocemente e le gerarchie geopolitiche stanno conoscendo ribaltoni inimmaginabili fino a una decina di anni fa. La politica commerciale protezionista e oggettivamente un po’ miope della nuova amministrazione USA, per esempio, sta consegnando il futuro a un altro grande gigante del pianeta: la Cina. Da quando nel 1978 il Partito Comunista Cinese ha introdotto le riforme economiche, l’economia di Pechino ha registrato una crescita che non ha eguali nel mondo. Una crescita silenziosa, ma incessante.
La 15ª Assemblea generale dell’Organizzazione internazionale della vigna e del vino (OIV), tenutasi il 2 giugno scorso a Sofia ha diffuso alcuni dati significativi, alcuni dei quali già noti, certificandoli agli occhi del mondo enologico: il calo della produzione 2016 rispetto all’anno precedente, per esempio, dato dalle difficili condizioni climatiche. O la conferma della Spagna come paese con la più grande estensione di vigneto, seguita dalla Cina che – manco a dirlo – ha fatto registrare il più alto incremento di superficie vitata rispetto all’anno precedente. Già, la Cina. La stessa Cina che si assesta al primo posto per produzione di uva, con quasi un quinto di tutta la produzione planetaria. Pechino rimane un po’ indietro in fatto di consumi, e dopotutto la cultura tradizionale di un grosso paese è più difficile da modificare: un cinese in media beve meno di un litro e mezzo all’anno di vino, contro i 41,5 di un italiano e i 54 litri di un portoghese.
Il consumo di vino è legato soprattutto all’esigenza di distinguersi da chi beve il liquore Bàijiù o la birra. Il calice, riempito per metà, non viene sorseggiato durante il pasto, ma bevuto tutto d’un sorso dopo il brindisi. Si tenga presente che la produzione di vino in tempi moderni nel paese è ammessa solo dal 1892: storicamente il vino in Cina è prodotto dal riso e anche dall’uva, come testimoniato da Marco Polo durante il suo soggiorno.
I numeri rivelati da OIV manifestano che la tendenza è fin troppo chiara: a breve bisognerà fare i conti non più con il commercio cinese, già ampiamente protagonista, ma con la sua produzione. La regione centrale di Ningxia, da questo punto di vista, è quella che sta trainando il resto del paese. Lo scorso marzo Stevie Kim, Managing Director di Vinitaly International, al termine di un viaggio proprio a Ningxia, ha rilasciato un’intervista a Wine Meridian nella quale dichiarava
Ningxia è il cuore del nuovo mondo dei vini del nuovo mondo. È senza dubbio la regione a più elevato tasso di sviluppo, con oltre 80 aziende vinicole, e se ne stanno sviluppando molte altre. L’intenzione è quella di piantare altri 67.000 ettari di vigneto ed arrivare ad almeno 100 cantine operanti entro il 2020. Un piano decisamente ambizioso.
E poi sui vini cinesi
Il mercato cinese è dominato dalla percezione che i vini importati siano migliori. La competitività dei vini francesi è ancora molto forte. Tuttavia i consumatori stanno pian piano iniziando a conoscere i vini cinesi e questo è un trend che va monitorato con attenzione.
I consumatori del Celeste impero quindi, amano soprattutto les vins français. Hanno iniziato a comprare quanto più vino possibile, da Lafitte -Rothschild a Mouton passando per il Lynch Bages. Ma non bastava: occorreva acquistare le aziende vinicole, non più le bottiglie.
L’inizio dell’eno-amore commerciale tra la Cina e la Francia è datato 1997, quando lo Château Haut-Brisson fu acquisito dal magnate di Hong Kong Peter Kowk, poi nel 2008 Château Latour – Laguens fu acquistato dal gruppo Longhai International Trading; nel 2009 toccò allo Château Richelieu, acquistata dalla Hongkong A and A international e nel 2010 allo Château Chenu – Lafitte.
Persino il fondatore del colosso dell’e-commerce cinese Alibaba, ha comprato un castello del XVIII secolo con 85 ettari di vigneto, Château de Sours.
Oggi i castelli bordolesi di proprietà cinese sono oltre cento con oltre settemila vigneti, una specie di status symbol per i ricchi finanzieri cinesi, disposti a fare anche qualche magagna, se necessario, tanto è vero che la Commissione anti-corruzione creata dal partito comunista di Pechino ha denunciato che milioni di soldi sottratti ad aziende pubbliche sono stati utilizzati per comprare 14 château bordolesi.
Disse un gestore di fondi di investimento specializzati nel 2009
Hanno cominciato con l’assaggiare il vino, poi hanno iniziato a desiderare i vigneti
È vero, stanno comprando ciò che desiderano e lo stanno facendo anche per solide ragioni commerciali, considerato che metà del vino importato in Cina è francese. Acquisizioni di vigneti più o meno importanti si sono registrati anche in Napa Valley e Australia.
Ma stiamo passando a una nuova fase, preparatevi: oggi gli investitori cinesi non si accontentano più di acquisire aziende vinicole nelle zone più vocate. Vogliono diventare loro la nuova Bordeaux, ambiscono a produrre vino di qualità. Hanno smesso di cercare di imitare i grandi vini e hanno capito che devono produrne di originali, sfruttando il terroir di cui dispongono.
Noi non abbiamo ancora provato dei vini cinesi ma le cronache parlano con curiosità di Greatwall, Ningxia Helanshan Manor e soprattutto Yantai Changyu, il colosso della produzione del Dragone, quotata in borsa con un valore di mercato di poco più di tre miliardi di dollari.
È solo una questione di tempo, gli investimenti non mancano e la passione neppure: tra poco avere una bottiglia di vino cinese sulla nostra tavola non sorprenderà più nessuno. Vedremo se ci piacerà, ma questa è un’altra storia.