Più passa il tempo e più le degustazioni si arricchiscono di amarcord, vini dello stesso tipo di annate più recenti che ricordano annate un po’ più datate, bevuti anni addietro. Per gli amanti della nostalgia moderata magari sono belle sensazioni.

Per chi – come me – è costantemente proiettato al futuro e non ama volgersi indietro, no. Era il 2006, quindi più di dieci anni fa. Uno dei miei mentori sulla strada del Vino, Antonio, mi prese per mano conducendomi verso una realtà che era facilmente comprensibile persino per un quasi eno-neofita come me, tanto erano buoni i vini di Gulfi che mi fece provare clandestinamente nel suo negozietto: la mescita -nel suo locale di allora – era vietata e ogni sorso rubato alla burocrazia imprimeva un carattere carbonaro a quelle micro degustazioni riservate a pochi eletti.

Non ricordo di che anno fosse quel Neromaccarj, Antonio se lo ricorderebbe di certo, ritengo potesse essere 2001. Rammento invece che rimasi a bocca aperta, per la bontà: un Nero d’Avola come non lo avevo mai provato. Intenso e acido ma soprattutto di estrema ricchezza gustativa.

Proveniente da un cru di tre ettari coltivati ad alberello, affina in legno per due anni per poi sostare in bottiglia ulteriori due anni. 

Nel provare il 2007, qualche sera fa, ho recuperato quel ricordo. Con piacevole nostalgia, certo, per una volta: a un bouquet sfrontato fruttato e franco, fa da contraltare una sinfonia sottotraccia fatta di spezie e humus, anice stellato, iodio, fine e infinita mineralità.

Il palato ringrazia per la disposizione ordinata seppur impudente del sorso: un’onda di grazia e forza, meravigliosamente e armoniosamente insieme. Piacere assoluto, nel nome del Nero d’Avola.