Ci fu un tempo in cui a me e a un altro redattore di Appunti di degustazione (non vi dirò chi è, al massimo vi suggerirò che il suo nickname inizia per Inv… e finisce per …ciale) piaceva molto, molto ma molto il Montepulciano d’Abruzzo.
Il nostro gusto in quegli anni incontrava il piacere massimo nei vini marmellatoni, tridimensionali, ciccioni. Amarone, Chianti, Nero d’Avola di quelli strong. Insomma, avete capito il genere.
Non rinnego quegli anni, né dopotutto, posso dire che i miei gusti siano totalmente cambiati.
Amo il Montepulciano d’Abruzzo anche oggi ma allora – a differenza dei tempi odierni – non capivo altri vini, più sottili, che giocano sulle sfumature più che sulla potenza.
Faccio questa premessa perché emerga in tutta la sua chiarezza che il mio rapporto con il vitigno non è privo di significativi precedenti: tra l’altro mi capita di frequentare l’Abruzzo e qualche cantina l’ho visitata.
Dei vini Barba, in quel di Pineto -nel Teramano – mi hanno sempre parlato come di prodotti figli della tradizione. Quando si parlava di Montepulciano “veri” a Torano come a L’Aquila, a Roseto come ad Alba Adriatica due erano i nomi che ricorrevano: Emidio Pepe e – appunto – Barba.
Ho bevuto con molto piacere I Vasari 2007, regalo di un amico abruzzese che sa il fatto suo e non nascondo di essere stato sorpreso. Non il solito Montepulciano d’Abruzzo, ma una interpretazione più foxy, più sincera di altre.
Rubino scuro, naso croccante, con le tipiche note di pelle animale certo ma anche con tanto in più: nota balsamica che segue di pari passo il frutto nero leggermente appassito, lavanda e spezia orientale. Il sorso è agile seppur di corpo, lo puoi masticare ma non è appesantito, reso svelto da una sapidità quasi iodata che richiama il balsamico captato al naso. Un Montepulciano vero.
Caro Inv.. …ciale, mi spiace, ma non ne è rimasto neppure un po’.