Lo avevo stappato con curiosità, a cena con amici a casa mia. Desideravo sorprenderli, farli bere bene. Ho scelto un vino del sud ma non so se sono riuscito nell’intento di sfoderare effetti speciali. Bisognerebbe chiederlo a loro, anzi credo proprio che lo farò, visto che non l’ho ancora fatto. 
Il vino scelto è stato Il Rosso dei Vespa, primitivo nella sua versione 2013 prodotto – come si può facilmente intuire – da Futura 14, l’azienda fondata da Bruno Vespa.

Il colore, rubino scuro, e la consistenza quasi sciroppata anticipano le caratteristiche proprie di un vino che un degustatore di media esperienza definirebbe materico e concentrato: in effetti i profumi declinano in versione confettura una larga scala di frutti rossi, dalla prugna alla ciliegia, passando per i più fini mirtilli. 
Non serve un naso allenatissimo per individuare una traccia speziata da pepe nero e soprattutto una nota costante e dolce di vaniglia. Non molto di più, nello spartito aromatico. Qualcosa di meno, se è possibile, nelle sensazioni in bocca dove l’opulenza della frutta sbraccia assieme all’alcol per tutto il percorso del sorso. Non è un vino cattivo, intendiamoci, ma non mi fornisce spunti vivaci, non mi fa inarcare le sopracciglia, non mi fa esclamare wow! È Vespa ma… non punge! 
Non facile da interpretare al primo sorso, tecnicamente perfetto – come potrebbe essere altrimenti, un figlio di cotanto enologo?! – viaggia sulle frequenze dell’affidabilità e dell’affabilità, senza scossoni, senza sorprese e con in dote – in compenso – una forte attitudine all’abbinamento gastronomico.