Non troverete struttura, non troverete potenza e nemmeno una beva lineare.
Con questo calice in mano si parla di eleganza ma anche di nerbo, di delicatezza e di grande presenza. Nota salata pizzicante, animale di cuoio e pelliccia, perfino lieve “puzzetta” di pollaio che va e viene, proprio accennata, che tutto sommato non disturba, di frutti rossi freschi e croccanti come mirtilli e ribes e fiori pestati.
La nota sapida è determinante e assoluta. Poliedrica e sfaccettata, tridimensionale, va dal cappero alla nota marina, alla pineta, in un impeto balsamico che si aggrappa al palato e non lo molla più.
La bocca è chiaramente desueta per la media di vini a cui sono abituato (e meno male) in questa chiave sapido-morbida, con un sorso che nella parte centrale manca quasi del tutto di struttura tannica, dove sembra comandare solo una deliziosa morbidezza.
Poi occorre giusto un istante, un attimo, un battito di ciglia e il finale marino che ti punge, giù fino al gargarozzo, prende piede e cambia tutto.
Tannino? Un velo, una memoria.
Alcol? Macché! Un cenno. Leggiadro come una giovane ballerina, i 12,5 gradi sembrano inesistenti e ne fanno un vino leggero e suadente che non stanca mai ma al contrario, chiede, chiede sempre.