Riceviamo e pubblichiamo questo breve racconto scritto dall’amico Matteo Cappellaro, sommelier e comunicatore della stessa emozione che cerchiamo di trasmettere attraverso il blog.
Sono le 10.30 di un martedì di Ottobre. Sono in macchina da circa un’ora, il tempo che separa le Langhe dalla val Grana. La strada sale verso Castelmagno ma io giro prima, a destra, direzione Colletto. Chi sale su di qua non deve aver le vertigini; una carreggiata sola asfaltata, tornanti piuttosto stretti e arrivo in un piccolo parcheggio. Scendo dall’auto e vengo avvolto da una nube di nebbia, non fa così freddo anche se è una classica mattina autunnale. Ha piovuto tutta la notte ma se guardo in alto il cielo si sta aprendo lasciando spazio a un azzurro carico. Sta uscendo il sole e penso che sia un segno di un nuovo inizio, provo una sensazione di libertà a essere circondato dalla natura, dal silenzio di un mondo incontaminato.
Spengo i telefoni cellulari, niente deve rovinare questo momento, e mi accingo a prendere la strada che da Colletto porta alla borgata principale dove c’è il caseificio Des Martin e dove stanno costruendo l’hotel diffuso.
È bellissimo, solo il rumore dei miei passi e quello del bosco; penso a come ci sono arrivato qua, una vita passata a cercare qualcosa di più, la voglia di arrivare all’obiettivo prefissato, ricordo mio nonno che spesso citava Vittorio Alfieri, al viaggio tortuoso dalla geologia alla mia professione attuale di sommelier errante in pieno stile brancaleoniano.
È partito tutto da quel libro letto anni fa ” Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta”: la storia di un viaggio di un padre e un figlio attraverso gli Stati Uniti, con al centro un messaggio importante: cercare di dare un significato al concetto di qualità. Sono partito da lì, cambiando la mia vita molte volte, cercando di approfondire e di capire, arrivando quindi al vino, secondo me la più alta forma di espressione territoriale, studiandone nei particolari la produzione, osservando il lavoro di chi sta in vigna e in cantina, documentandomi ogni giorno.
Per i formaggi è lo stesso, se si cambia la zona di produzione, cambia il terroir, lo stesso prodotto non si può ottenere con le stesse caratteristiche gustative in posti diversi.—-, come agisce il terreno sui sapori e quindi sull’erba, sul latte, tutte ricerche di questi ultimi anni–.
Sono mesi che rompo le scatole a Ilaria per vedere il suo posto di lavoro e farmi spiegare i segreti della produzione…tra le altre cose non la conosco neanche così bene, chissà cosa pensa, che faccia spionaggio industriale o peggio che io sia l’ennesimo giornalista enogastronomico alla ricerca di uno scoop???? Un momento! Dei rumori! La strada fa una curva ed io mi imbatto in un gruppo di persone intente a caricare due pesantissime travi su un camion, mi fermo a dargli una mano e poi riprendo il cammino con un paio di loro. Mi chiedono che cosa ci faccia un sommelier su di qua e mi spiegano cose interessanti riguardo la costruzione dell’hotel, sulla validità di questo progetto che ha portato imprenditori del vino e non solo a far rinascere una vallata in montagna: prezioso progetto anche e soprattutto per la valorizzazione di un prodotto d’eccezione com’è il Castelmagno d’alpeggio.
Negli ultimi due anni sono riusciti con fatica e impegno a portare su il bestiame, ricavare latte della giusta qualità e a mettere Ilaria nelle condizioni di poter lavorare all’interno di una struttura conforme.
Un progetto non da poco, che va seguito ogni giorno, una cosa in cui questi signori sono maestri. Un progetto di Qualità. Eccola Valliera!!! Un cantiere adesso, uno spettacolo a breve!
Mi dirigo al caseificio.
Ci sono!
Dietro a delle porte trasparenti vedo una ragazza vestita di bianco, Ilaria.
Ho incontrato molte produttrici di formaggio da quando ho iniziato a chiedermi cos’è la qualità e ho riscontrato una caratteristica comune a tutte, un filo conduttore: gli occhi; occhi aperti, svelti, c’è una luce in questi occhi che tu vedi una volta e non dimentichi. Ilaria ha questi occhi abbinati anche a una grande passione che sembra abbia respirato in famiglia, parla poco ma si muove svelta tra i macchinari, non sa che io arranco a cercare di capire cosa mi sta dicendo.
Naturalmente lascia molto per scontato, un pò come quando un grande chef trasmette la conoscenza ai suoi allievi. Mi fa capire quanto è veloce il pensiero e la reazione immediatamente successiva: qui si fa un prodotto d’eccezione per via del terroir certo, ma la qualità la fa una persona che ha il mestiere nelle mani. Quanto imparo in 10 minuti lì con lei! Mi fa vedere la caldaia dove vengono assemblati i latti delle due mungiture della mattina e della sera; come fa la cagliata, i tagli, dove mette il prodotto a spurgare dal siero, dove sposta il maturatore la mattina successiva sotto siero per consentire all’acidità di abbattere la carica batterica; come si trita il tutto dopo tre giorni e come si assembla nelle forme. La pressatura e infine le grotte…qui in una apertura all’interno di una delle baite della borgata, sono messe a stagionare le forme del Castelmagno e una fontana mantiene l’umiditá al 90%. Sempre. E’ il valore aggiunto che questo posto da.
Un erborinato che nasce dalla semplice combinazione delle caratteristiche esterne e non per l’inoculo di penicilium, insomma un prodotto naturale! La combinazione di tutti questi fattori è vincente e il prodotto finito per me che in questo campo rappresento solamente il consumatore finale, è un godimento unico…
Un profumo di latte sapido con un gusto intenso e persistente che sa di pascoli di alta montagna, che non lascia nulla al caso. Sogno già gli abbinamenti e un piatto di gnocchi fatti in casa… Apro gli occhi e me lo trovo davanti, fumante, mentre sono seduto a uno dei tavoli del rifugio sottostante, semplicemente spettacolare! Flavia ha una buona mano in cucina, mi propone anche un secondo che divoro, alla faccia della dieta!
Momenti unici all’interno di una borgata abbandonata fino a pochi anni fa ma che adesso brulica di operai che corrono per ultimare i lavori al più presto. Non capita tutti i giorni di vedere risorgere un qualcosa che era inanimato. Molti posti all’interno delle nostre montagne si stanno spopolando, qui sta accadendo una sorta di miracolo, una nuova partenza. La mia mezza giornata di “libertà” sta inesorabilmente per finire, lo penso mentre i sobbalzi del fuoristrada guidato da Ilaria mi riportano a Colletto. Nel frattempo lei si racconta. Valliera è un sogno, il sogno di individui che hanno fatto squadra, è un sogno che si realizza. Me lo dice con la fermezza di chi ci crede davvero. La passione respirata in casa, da suo padre tecnico agrario e membro della comunità montana della Val Grana. Un lavoro estivo anni fa alla cooperativa dei produttori di Pradleves e poi l’assunzione da parte della società di Valliera nel 2009 prima ancora di diventare casara alla scuola lattiero casearia di Moretta in provincia di Cuneo. Passione, competenza, famiglia, determinazione, e una buona dose di umiltà: questa è Ilaria, una donna dell’89 che sa cosa vuole. Parlare con lei mi dà la risposta che cerco: “la qualità è un valore aggiunto e non sempre è garantita, va costruita. La qualità la fa chi sa produrre con coscienza e dedizione. La qualità la fanno le persone.”
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