Una cena di saluti pre-vacanze estiva ha dato a tutta la redazione di Appunti di Degustazione la possibilità di confrontarsi sui vini dell’azienda agricola La Raia.
Nel territorio di Gavi, l’azienda consta di 40 ettari di vigneto e altri 100 circa suddivisi fra altre colture, boschi e pascoli.

Evitando di addentrarci nei meandri di un dibattito sul significato del termine “naturale”, La Raia è un’azienda moderna nata nel 2003, certificata Demeter, che utilizza pratiche agronomiche e di cantina legate ai principi biodinamici.
Affonda le proprie radici in un territorio magnifico fatto di cascine ottocentesche e paesaggi mozzafiato con l’intento di promuovere e diffondere la cultura “del naturale” non solo attraverso i suoi vini. 
Oggi se ne parla tanto. I vini naturali, quelli con pochi ingredienti, sono (per fortuna) alla ribalta nel panorama mondiale e stanno attraversando un momento felice che personalmente spero possa solo migliorare (in termini di qualità ma anche di quantità).
La Raia è nata con questa filosofia, quando la moda era di là da venire, pertanto diamogliene atto. 
È così che degustando i suoi vini si può intuire un filo conduttore fatto di maturità, di immediatezza, di piacevolezza complessiva. Un’impronta aziendale dove è più il territorio che la mano dell’uomo, a parlare attraverso il calice.
Eccoli dunque i vini.
Pera in succo di frutta, pesca noce e pesca gialla regalano un naso fresco, duale, morbidone ma chiaramente pungente. Un’ortofrutta, in pratica come essere al mercato e girare fra le bancarelle più invitanti. Di buona sapidità e buona corrispondenza gusto-olfattiva, anche in bocca si nota una certa nota morbida, quasi dolce, dovuta forse ad un lievissimo residuo zuccherino. 
Il risultato? È un vino pulito, dai sentori netti e discreti, nel senso di discernibili. 
Quindi al netto di questa morbidezza inaspettata che alla lunga potrebbe impensierire, lo trovo estremamente gradevole a fruibile, da abbinare magari ad un buona ricetta a base pesce alla frutta.
Mosto, uva fresca da mordere, lime, mazzolino di rosmarino e pane ai cereali. L’impronta naturale è evidente e quasi ostentata. Grande la sapidità matura, di salgemma, sale minerale. Puoi star lì a gustarlo tutto il giorno, sorso dopo sorso. Fa il suo dovere ovvero accompagnare il pasto. 
E non è un commento scontato.
In due parole: vino frutto. 
Schioccante, vivido dal naso goloso di fragola e gelso; si sente ancora il mosto in background. Nella sua semplicità è un vino di una bevibilità estrema che si differenzia dalle barbera standard per una mancanza di cordialità. È una barbera antipatica. Non ammicca. 
È questa scontrosità congenita che piace al gruppo, un carattere distintivo. Da bere con un unità di misura che va a casse, e non a calici, o con la cannuccia se preferite. Basta solo questa grande acidità sulle note di mapo e mandarino. 
Non affondate il naso per ricercate complessità di sorta o millemila profumi.
Questa barbera va bevuta. Al pasto.
Quindi bevetene tanto, fino a finire la bottiglia e quando avrete fatto, aprite pure la seconda.