Silice |
Samuel stesso si pone subito con grande umiltà perchè l’argomento meriterebbe una disamina completa dal punto di vista enologico, geologico, chimico e organolettico, magari da trattare con più esperti.
Ci vengono proposte subito due definizioni dal Petit Robert e dal Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa, dove tre sono le parole chiave da tenere in mente nel corso della serata INORGANICO, SOLIDO, OMOGENEO.
Io ho cercato la definizione di minerale sul Devoto Oli: Denominazione dei corpi naturali di origine prevalentemente inorganica, fisicamente e chimicamente omogenei, che sono parte integrante della crosta terrestre o dei corpi planetari; solidi, nella quasi totalità, a temperatura ordinaria e a pressione normale, e cristallini sono i costituenti delle rocce.
A me personalmente il concetto di minerale fa venire in mente l’acqua. Quando ero piccola mi piaceva con i fratelli a tavola indovinare le sigle dei minerali presenti sull’etichetta della bottiglia. E infatti Samuel ci fa presente quanto sia diverso il gusto di un’acqua rispetto a un’altra. Quindi buon ricordo non mente!
Zolfo |
Ancora più interessante un recente studio franco-svizzero del 2014 che ha indagato, tra degustatori esperti e non, due aspetti: evocazione e definizione. Riassumendo possiamo dire che il concetto di mineralità evoca il terroir, la pietra, il bianco, il fucile fino ad arrivare al “nulla”. Come definizione invece il riferimento è alla pietra, ai minerali, al sasso, all’odore. Questo solo per elencare i più “gettonati”.
Tuttavia è necessario precisare che i minerali non sono elementi volatili e quindi non hanno odore. I sali minerali presenti nel suolo vengono assorbiti dalla vite come composti, grazie alle micorrize, funghi dalle ife lunghissime, che vivono in simbiosi con la pianta e che prendono da essa zuccheri per cedere invece sostanze minerali: fosforo, potassio, calcio, zinco, magnesio, ferro, cloro, manganese, rame, zinco, selenio, silicio…
Io stessa non sono certa di aver recepito tutto quanto in maniera corretta e sento di aver lasciato l’argomento a metà…
Tornando a casa mi sono letta le interviste che David Lefebvre ha rilasciato a proposito di questo tema su L’Antologia fuori sede di Possibilia Editore. Il tema è davvero “tosto” e mi convinco ancora una volta che una serata è troppo poco.
Grande consistenza per un rubino carico con unghie granato e particelle in sospensione. Il primo naso è austero, leggermente alcolico, etereo, legno secco, frutta carnosa ma comunque intenso. Al secondo naso la frutta diventa sotto spirito e emerge un’intensa nota balsamica e il cioccolato fondente. In bocca ottima corrispondenza, tannino abbastanza amaro, intenso comunque e persistente, il cioccolato fondente si ripresenta e termina con un finale leggermente metallico.
Una collana di granato cupo di pietre tutte regolari. Regalata dalla nonna ma sempre attuale.
Agata rossa |
Rubino consistente, al naso si presenta con note di frutta croccante, ma anche di medicinale, ferroso, vernice, smalto, sbuffo di tabacco. Molto espressivo, al secondo naso di arricchisce di profumi più dolci di frutta tropicale. Il tannino è morbido con una sapidità evidente. Intenso e persistente ma non una perfetta corrispondenza gusto-olfattiva.
Un fermacarte di agata che con le sue diverse variazioni di colore si adatta un po’ a tutti.
Côtes-du-Roussilon villages “Vieilles vignes” Gauby 2011 – Rossiglione – 35% carignan, 30% syrah, 25% grenache, 10% mourvèdre. Vendemmia manuale, fermentazione spontanea, macerazione tra 2 e 4 settimane, torchiatura manuale, affinamento in barrique per 24 mesi, nessuna chiarifica e filtrazione.
Rubino intenso e buona consistenza per un naso più dolce, orientale di cannella e chiodi di garofano. Emerge la buccia di mandarino. Il secondo naso conferma la dolcezza già presente ma si arricchisce di erbe aromatiche e carbonella. Al gusto la parte salina predomina sul tannino, intenso e persistente con un finale leggermente amaricante.
Un rubino sull’ombelico di una odalisca delle Mille e una Notte.
Il Koh-i-noor- sulla Corona di Elisabetta II |
Champagne brut blanc de blancs Gran cru “Initial” Jacques Selosse – Champagne – 100% chardonnay – Sboccatura 2014, 30 mesi sui lieviti. Gran protagonista della serata. Un fuoriclasse, perfetto al naso e in bocca. Veramente brillante con un perlage finissimo e persistente. Una leggera affumicatura al naso, e frutta, vegetali secchi, erbe aromatiche e pasticceria. A me ha ricordato l’amor polenta. In bocca sapidità ma anche dolcezza in perfetto equilibrio, lungo e intenso, cremoso e avvolgente.
Se fosse una pietra sarebbe il magnifico koh-i-noor, che significa infatti montagna di luce: per fortuna – contrariamente al diamante più famoso – non è l’unica bottiglia!
Jurançon sec “Vitatge Vielh” Lapeyre 2010 – Sud ovest – 60% gros manseng, 30% petit manseng, 10% courbu. Fermentazione spontanea, affinamento in botte per un anno con batonnage e sei mesi in vasca. Bellissimo colore dorato con riflessi di oro antico e buona consistenza. Il primo naso leggermente chiuso evoca sentori di cotogna, tiglio, erbe e verbena, ma anche ananas e grande mineralità (!!!). Emerge poi la lavanda e il tè verde con il cedro. Acidità spiccata, sapido e intenso con una bel finale citrino.
Un bel quarzo citrino è proprio quello che ci vuole. Delicato e speciale.
Una perla marina non da collana da signora bon ton ma da orecchino da pirata.
Uno scrigno di ambra ricco di sorprese inaspettate.
Un gioiello medievale come la corona ferrea, usata proprio da Carlo Magno per l’incoronazione fa certamente al caso nostro, con la sua preziosa ma austera foggia.
Ahimé, non se n’è parlato in maniera specifica. Ecco perchè sono uscita dalla serata a bocca “asciutta” (si fa per dire) e non completamente soddisfatta.
Mi è sembrata un’occasione persa o almeno – come si dice – la sensazione di un bicchiere per metà mezzo vuoto (con la sfumatura, semanticamente importante, di avere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto). Sigh!