CHE FATICA! Questo il primo, spontaneo, commento appena uscita da “Terre di Toscana, eccellenza nel bicchiere“.
Ebbene sì, è stata una degustazione faticosa. Mi sono dovuta armare di santa pazienza per guadagnarmi un numero di assaggi valevoli del viaggio da Milano.

Mi spiego meglio.

La manifestazione, giunta alla sua nona edizione, si è tenuta il 28 e 29 febbraio presso l’UNA Hotel Versilia a Lido di Camaiore, in provincia di Lucca. 
L’idea alla base è quella di fornire uno spaccato dell’eccellenza enologica toscana. Intento indubbiamente riuscito nel corso degli anni, in un crescendo di successo che, quest’anno, ha portato ad avere ben 130 produttori tra grandi nomi internazionali e cantine di nicchia.

Organizzare un evento di tali dimensioni non deve essere sicuramente facile, ma proprio in virtù del fatto che si tiene ormai da diversi anni e che ogni volta riscuote sempre maggior successo, un po’ di lungimiranza in più sulla scelta dell’ubicazione sarebbe, a mio avviso, stata necessaria.

Degli “agli ampi ed eleganti spazi della location” citati nella home page dell’evento, non c’è minimamente l’ombra. I non pochi 130 produttori sono in parte stipati in una stanza assolutamente inadeguata per capienza e in parte confinati in un corridoio. L’affluenza è alle stelle già dall’apertura, e nel giro di poche ore la sala diventa praticamente impraticabile. Raggiungere un banco di degustazione è impresa davvero ardua. Tra spintoni, attese in coda, sputacchiere che cadono, calici che si infrangono (non sono state fornite le tasche),  è un miracolo raggiungere il banchetto che si è prefissati di visitare, mentre la maggior parte delle volte ci si ritrova davanti ad un banco degustazione diverso quello scelto.

Fa caldo, vado a posare il giubbotto. No, scherzavo: il guardaroba è già pieno.

Va beh, mi rassegno e mi dedico al vino. Vediamo se almeno nel bicchiere c’è questa eccellenza, sicuramente bocciata l’organizzazione.

Iniziamo con i vini di BADIA A COLTIBUONO, letteralmente “abbazia del buon raccolto“, nome datogli dai monaci vallombrosani che piantarono qui le prime viti. Dal 1846 è di proprietà della famiglia Stucchi Prinetti  che ne ha fatto un’azienda moderna, divenuta un nome storico importante per il Chianti Classico. Oggi le vigne si trovano prevalentemente a Monti in chianti, nella zona di Gaiole in Chianti.

Chianti Classico 2013, sangiovese con 5% di ciliegiolo. Profumi delicati di fiori, fieno con lo sbuffo animale del sangiovese. Nel sorso troviamo piena corrispondenza, oltre che grande freschezza. Rimane comunque composto e di una bevibilità estrema. Un chianti elegante.

Sangioveto 2011, invece, è un IGT di sangiovese in purezza prodotto da vecchie viti appartenenti ad una sola vigna.  Il colore è carico e profondo così come i profumi. Note vegetali, mora di rovo, polvere di gesso. In bocca mi ricorda un Mon Chéri, con la tutta la pungenza della ciliegia sotto spirito. Un sorso più dolce e morbido, ma sempre sostenuto da freschezza e struttura. 
Proseguiamo verso nord, dove paesaggi più aspri e boschi fittissimi annunciano l’arrivo nella zona a Radda in Chianti, nel cuore del territorio del Chianti Classico. Poche vigne si fanno largo tra la vegetazione e traggono nutrimento da un terreno ricchissimo di alberese (prevalentemente calcare) che dona estrema freschezza e sapidità al vino. I chianti di Radda non sono immediati e modaioli, ma più rudi e nerboruti. Hanno colori profondi e una straordinaria acidità che li rende altrettanto straordinariamente longevi.

Ottimo interprete di questo terroir è Paolo Cianferoni, dell’azienda CAPARSA, che produce Chianti classico secondo tradizione in soli 12 ettari vitati. Qui facciamo una verticale di Caparsino, il suo Chianti Classico Riserva.

Il 2012 è un ragazzino. Esprime tutta la sua giovinezza in profumi di fiori, fieno e piccola frutta rossa che troviamo anche in bocca. Il sorso è pieno e fresco, ma il tannino polveroso è ancora un po’ troppo scalpitante. Da riprovare tra qualche anno.

Passiamo al secondo vino e giochiamo a trova le differenze.

Complici l’annata e un anno in più sulle spalle, ed ecco che nel 2011 si manifestano frutta rossa e spezie. Il sorso è più tondo e morbido, sempre conservando il nerbo del sangiovese. Acidità e tannini hanno meno slancio, rendendone piacevole la beva anche ora.

Il 2010 è decisamente quello più corposo e potente. Un sapiente uso del legno gli conferisce piacevoli note tostate e ammaestra i tannini, comunque sempre molto presenti. Ottime acidità e struttura e piacevole allungo finale.

Finiamo con il 2007, espressione dell’evoluzione del vitigno. Qui la paletta olfattiva vira su note terziarie animali, di cuoio, china. Stupisce per freschezza e tannini ancora vivi, mentre grinta e struttura sono lievemente indebolite dagli anni.

Spingendoci nella zona più a sud del Chianti Classico, Castelnuovo Berardenga, andiamo a CASTELL’IN VILLA, dimora della principessa Coralia Ghertsos Pignatelli della Leonessa. Un nome importante per un’indiscussa donna del vino. Coralia è una signora elegante e distinta, che colpisce per lo sguardo; dai modi raffinati e dall’estrema pacatezza, fa breccia nel cuore in punta di piedi.
E i suoi vini? Classici, eleganti e di personalità, proprio come lei.

Chianti Classico 2011 e il calice trabocca di frutta rossa fresca appena raccolta. Bocca perfettamente equilibrata in tutto, con piacevole e non stucchevole dolce finale. Acidità e tannini ne invogliano la beva e lasciano la bocca pulita, pronta ad un nuovo sorso.

Nel Chianti Classico riserva 2009 si apprezza la piccola frutta rossa sotto spirito. Un naso reso stuzzicante da una punta di alcool e dal lieve tocco del legno. Il sorso ha sempre il suo quid, quella particolarità che sfugge ai descrittori, ma che lascia il segno e stupisce. Anche in questo caso ottima bevibilità grazie a tannini ponderati, freschezza e sapidità.

Sono esausta. Ma prima di abbandonare il campo di battaglia, voglio fare un salto da Tenuta San Guido.
Ooops… il Sassicaia 2012 è finito! Finito??? Dopo sole tre ore? 
Lo trovo un grave errore di valutazione, ma ci passo sopra e  provo con Guidalberto. Finito! Le DifeseFinito anche quello.

Il disappunto sale. E con il mio anche quello di molte altre persone che giungevano allo stand. Non è stato molto carino non aver dato la possibilità a tutti, o alla maggior parte, dei partecipanti di potere assaggiare le anteprime di nomi così importanti del settore.
Considerando il grande afflusso di persone, voglio pensare sia stato un errore di valutazione, anche se qualche dubbio mi rimane.

Qualche nota positiva però c’è stata.
– Ho apprezzato molto il libretto fornito all’ingresso con l’elenco delle cantine e ampio spazio per annotare gli appunti di degustazione.
– Apprezzabile anche la presenza dei produttori che rappresentano il valore aggiunto di queste manifestazioni.

– Infine un plauso ai piccoli produttori, alcuni dei quali tengono degnamente testa ai grandi nomi, spesso anche superandoli.