Oggi vi racconto una storia, no, meglio, vi parlo di storia.
E sebbene non si possa dire che sia un appassionato della materia, in questo caso ho fatto i compiti a casa.
Anzi in aula; l’aula del CNR di via Corti a Milano dove martedì 14 ottobre si è tenuta la conferenza “La frontiera più avanzata dell’agricoltura biologica”.
Sì ma perché scomodare il CNR?
Vediamolo partendo dalla storia appunto.
Lo sviluppo delle piante come le conosciamo oggi ha avuto inizio circa 450 milioni di anni fa dalle alghe. Da allora esiste un legame forte ed indissolubile fra la pianta stessa e la popolazione di microorganismi presenti nel suolo.
Tuttavia l’epoca in cui ci viviamo, che gli studiosi chiamano Pasteriana (da Pasteur) ha visto sempre più venir meno questo legame considerando, anzi, i microbi presenti nei terreni come qualcosa da annientare.
Diserbanti, metalli pesanti, insetticidi, fitofarmaci sono tutti trattamenti pensati in origine con lo scopo di proteggere la pianta senza però considerare gli effetti negativi legati alla perdita di terreno fertile nel lungo periodo.
Il terreno è sterile.
È come se gli avessimo fatto la chemioterapia!
La natura si comporta in modo diverso, per fortuna lo sappiamo, e nel corso dei milioni di anni ha messo a disposizione delle piante una strategia vincente approntata per lo sviluppo, l’affermazione e la proliferazione della pianta stessa.
Tale è il concetto di superorganismo ovvero un essere vivente composto da milioni di organismi dove il DNA della pianta rappresenta l’1% del corredo genetico mentre il restante 99% fa capo a funghi, batteri e microrganismi vari presenti nel suolo.
Una differenza evolutiva sostanziale rispetto al mondo animale, che permette alle piante collegate di sopravvivere anche in condizioni critiche grazie alla capacità di essere parte di una rete, come con il moderno Internet.
Lo studio presentato dal professore Giusto Giovannetti, infatti, si focalizza su questa’affermazione che vede nei microrganismi simbionti non solo un amplificatore naturale dell’impianto radicale ma soprattutto il link di comunicazione con le altre piante circostanti.
Eccolo il superorganismo! Un essere vivente complesso, resistente alle malattie, in grado di autocurarsi nel migliore dei casi, che è ben più della somma dei singoli organismi di cui è composto.
È qui che, in antitesi con l’accademia degli ultimi 50 anni che ha promosso la distruzione massiva dei microrganismi del suolo (incondizionatamente senza distinzione fra buone e cattivi), entra in gioco la nuova frontiera dell’agricoltura eco-simbiotica; il recupero della fertilità del suolo, della vitalità microbiologica tramite l’inoculazione di un biota microbico, frutto di biotecnologie e della ricerca italiana.
In realtà quindi il titolo di questo post è sbagliato perché l’agricoltura eco-simbiotica già esiste anche se siamo ancora agli albori.
In parole povere l’indebolimento delle piante, delle viti nel nostro caso, è sotto gli occhi di tutti e necessita ogni anno di una serie di trattamenti atti ad eliminare i vettori dei mali più virulenti attraverso però lo sterminio di tutti i microrganismi del suolo.
Nel corso delle varie sperimentazioni effettuate è stato osservato che ricreare quel famoso link fra piante aiuta sensibilmente le difese immunitarie, la capacità metabolica e rende le viti più resistenti agli attacchi patogeni.
Durante la conferenza assistiamo a molteplici esempi di sperimentazioni condotte su diverse colture della filiera gastronomica come ad esempio olio, caffè, radicchio, pomodorino, latte, grano e farine ecc. Ce n’è per tutti!
In viticoltura alcuni esperimenti hanno dato risultati eclatanti come nel Monferrato presso Tenuta Santa Caterina ad esempio dove si è osservato che viti trattate con il biota microbico hanno sviluppato una resistenza naturale alla flavescenza dorata, un male particolarmente diffuso e impattante in quella zona.
Analoghi i risultati in Toscana presso la Tenuta Rubbia al Colle di Arcipelago Muratori dove i dati riportano una crescita della radicazione del 400% e una vigoria tale da rendere (quasi del tutto) superflui i trattamenti fitofarmaceutici anche in annate difficili.
Chi sa di cosa sto parlando sa bene quali possono essere le implicazioni e i costi legati per correre ai ripari.
Il risultato di questa sperimentazione ancora in corso si trova quindi nel corredo organolettico di ciascun alimento per il quale è stato necessario coniare un neologismo identificativo: nutraceutico.
Alimenti che nutrono e al contempo svolgono una funzione terapeutica (farmaceutica).
Il ritorno al futuro dell’alimentazione.
A questo punto, dove i risultati sono concreti e più che incoraggianti, è necessario continuare ad investire in ricerca sviluppando la cultura in primo luogo dei produttori, quindi risvegliare la coscienza del legislatore che ancora oggi, nonostante tutto, nega il valore che un suolo fertile, ricco di vita, in grado di rendere le coltivazioni più resistenti e qualitativamente superiori, può portare.
Infine occorre parlarne. E tanto.