Gianfranco è un uomo con pochi fronzoli, si vede subito. Sin dalle prime battute al telefono, quando ci accordiamo per incontrarci. Cosa so io, di lui? Cosa conosco della sua azienda?
So che originariamente l’impegno di Gianfranco era rivolto all’olio, prima ancora che al vino. Fu Gino Veronelli ad accendere la miccia definitivamente, ad indurlo a vinificare. Dal 2004 Gianfranco Fino e la moglie Simona Natale accettano la sfida e iniziano a fare vino, partendo da un ettaro o poco più. L’upgrade del movimento vitivinicolo pugliese, registrato negli ultimi dieci anni, è passato anche da questo snodo: da allora l’azienda di Fino ha puntato la prua verso il successo e senza dubbio possiamo dire che la meta è stata raggiunta.

Non vi parlerò di premi o guide che incensano i vini Fino, vi parlerò sic et simpliciter di quello che ho colto nel calice, nella cantina di Manduria in un caldo mattino di luglio.
Giungiamo in azienda intorno alle 11, un orario assassino specie in questo luglio soffocante, a tratti asfissiante. Gianfranco e Simona non sono tipi da farsi intimorire dalle temperature e ci conducono ugualmente a visitare alcuni dei quattordici appezzamenti che oggi costituiscono l’azienda. Ne varrà la pena. Visitiamo prima la vigna storica, sessanta anni di età: la resa è molto bassa, circa un terzo di quella prevista dal disciplinare. L’azienda è in regime di agricoltura biologica, anche se non certificata, con qualche pratica biodinamica e – soprattutto – nessun trattamento chimico di sintesi.  Il terreno è argilloso ricco di ferro, cosa che si nota già al primo sguardo.

La produzione si assesta intorno alle ventimila bottiglie, non molto: resa, pratiche, conduzione generale puntano alla qualità. Le vigne hanno da 50 fino a 90 anni di età. Gianfranco ci spiega che nel territorio di Manduria vi è un’elevata parcellizzazione, proprio come in Borgogna.
Osservando le vigne è proprio la Borgogna che mi viene in mente: l’alberello in questo caso è pugliese, a due bracci, ma la prima sensazione – colore del terreno a parte – è di trovarsi in un clos a Vosne-Romanée.
Alcune piante sono davvero maestose e la vista d’insieme mi fa dimenticare che ci sono quaranta gradi ed il forte abbraccio del sole di mezzogiorno. Non si irriga qui e le piante devono trovare da sole il necessario nutrimento alla propria sopravvivenza. È innegabile che nella forza di queste viti vi sia un messaggio per chi le cura ma anche soltanto per chi le osserva: un significato immobile e silenzioso, una dottrina ancestrale che ritroviamo nel calice dei vini prodotti da queste uve. Una dottrina che chiede di essere tramandata e che i vini di Gianfranco Fino perpetrano lungo il sottilissimo filo della qualità assoluta.   



Es 2013
Primitivo in purezza. Per chi ancora non lo sapesse, il nome riprende il termine psicoanalatico coniato da Sigmund Freud per il quale rappresenta la voce della natura nell’animo umano e quindi il piacere, la passione pura.

L’annata di grande freschezza ed eleganza, rubino con ancora lieve, luminoso riflesso porpora. Al naso è generoso, con toni di frutta matura ciliegia e mora, prugna, cardamomo, sbuffi di noce e poi cappero e liquirizia: già dal primo sorso è di grande slancio e sapidità, freschezza, tridimensionale, croccante.
L’approccio alcolico è percepibile, certo, ma l’acidità importante e diretta ne attenuano la portata calorica. Il tannino è perfettamente centrato, la struttura è imponente ma non inganni, non siamo di fronte a un pachiderma: il corpo è sinuoso, agile e potente come un’atleta sulle parallele asimettriche. In bocca volteggia sospeso tra alcol e sapidità, soffermandosi al palato in un frangente infinito, denso eppure ben delineato nelle sue sfaccettature.
Scandisce con precisione la propria sofisticata dinamica e ti conduce per mano verso un finale speziato e interminabile.

Jo 2013 

È jonico nell’anima, questo vino, 100% negroamaro. Rubino con riflessi porpora. Sentori immediati di pepe nero, balsamico e intenso, terra e fieno, nota di iodio, macchia mediterranea. 

Il sorso non ammicca, anzi tende a sottolineare la propria esuberante personalità. Il tannino è sotto controllo ancorché leggermente vegetale e risulta calibrato. Scattante e virtuoso, manifesta gioiosa espansività, a partire dalla acidità ben in evidenza e fino al lungo finale, coerente ed armonioso. La struttura c’è ma non è prepotente, l’eleganza è indubbia e così la certezza di trovarsi di fronte a un gran bel vino.