Ci sono vini, fatti da personaggi unici, che solo al sentirne il nome impreziosiscono l’aria e fanno sorridere l’anima.
Il nome di Bartolo Mascarello, per esempio, ha la forza dirompente di un tuono, con la luminosità assoluta del lampo. Chi si è avvicinato al mondo del vino dopo il 2005 ne ha sentito parlare – ahinoi – che già non c’era più, senza nemmeno poter sperare di poterlo un giorno conoscere.
Chi calca il palcoscenico dell’enomondo da più tempo invece ne ha un’idea più diretta ed i fortunati che lo hanno conosciuto di persona ne tracciano un profilo univoco e senza ambiguità. Sarebbe riduttivo associare Mascarello produttore solo a colui che ebbe l’ardire di scrivere No barrique no Berlusconi sull’etichetta di un proprio barolo, anche se innegabilmente è l’episodio legato al suo nome che più si ricorda e tra poco ne parleremo. Mascarello era molto di più: era custode della tradizione contadina, fatta di sacrificio e rispetto per la Natura, per i suoi tempi, profondamente contrario a scorciatoie e mode. Era un uomo capace di difendere il proprio territorio ed il modo di fare vino ne è la testimonianza più forte. Il padre Giulio, fiero antifascista, fu uno dei primi a vinificare in proprio nel 1918, nell’Italia ancora stravolta dal primo conflitto mondiale.

Quando Bartolo affianca il padre nella produzione, capisce che è il momento di imbottigliare di più, senza stravolgere nulla, rinunciando a tecnologie in vigna o in cantina. Solo la tradizione, solo buon vino. Per il barolo continua ad assemblare le uve provenienti dai diversi vigneti, rifuggendo dalla moda di vinificare per cru. E naturalmente lunghe macerazioni ed affinamento in grandi botti di rovere. Ché di barrique in Via Roma 15, a Barolo, non se ne sono viste, mai.

Nel 2001 Berlusconi manda a dodici milioni famiglie italiane di copie di “Una storia italiana”, la sua biografia immaginifica e magniloquente su cui è superfluo fare commenti. Una di queste copie giunge a Bartolo Mascarello, che decide – a modo suo – di dare una risposta all’invasione grafica e verbosa dell’ex Cavaliere, vergando di proprio pugno un’etichetta per un Barolo del 1995 ove racchiude due rifiuti. Due no, che a ben guardare nelle sue intenzioni dovevano essere di pari valore.

Per essere sicuro che non ci fossero dubbi, Mascarello ci mette su anche la foto di Berlusconi, in un angolino. La bottiglia finisce in un’enoteca di Alba, l’enoteca Marchisio ma la campagna elettorale incombe e con essa le regole della par condicio: qualcuno nota la bottiglia e non la prende bene. Scatta il sequestro da parte dei carabinieri. Bartolo non si arrende: fa un’altra etichetta identica alla prima attraversata – questa volta – da una striscia obliqua che ne copre una buona parte, con su scritto CENSURA. Così era Bartolo Mascarello.

Una sera di malinconia cerco e trovo nella mia cantina la sua Barbera d’Alba 2012: la stappo con cura, controllo la temperatura. Perfetta. Verso un calice e lo osservo, dipinto di rosso rubino molto intenso e solo qualche bagliore violetto. Ha una bella consistenza e mentre faccio ruotare il calice cerco di capire come sarà quella barbera. Affondo il naso e trovo fiori di lavanda e violette, tratto erbaceo, terroso e fine, finissima balsamicità. Vorrei trastullarmi e giocare a trovare altri sentori ma forte è la voglia di bere, così mi tuffo senza esitare. Caratteristico e caratteriale, acida sì, ma con criterio; vigorosa sì, ma con delicatezza. Il sorso traccia il palato, disegnando un percorso nitido, riportando i frutti e i fiori percepiti al naso, integrandolo con un tannino certamente maschio ma mai fuori posto. Che dire del finale? Lungo e variegato, un po’ spigoloso e sincero. “Doveva essere così Bartolo“, penso. E mentre bevo, l’anima sorride.