Non molto tempo fa affermai che il barolo è il taurasi del nord, provando a smontare in maniera provocatoria il luogo comune che sostiene l’esatto contrario. Si parla ovviamente di grandissimi vini e solo il gusto personale è giudice incontestabile di chi sia il migliore tra i due.
Il paragone è a mio avviso inadeguato quando si mettono a confronto i rispettivi vini base, aglianico e nebbiolo piemontese… Ho provato dei nebbiolo con oltre cinque anni sulle spalle e l’idea che mi sono fatto è di vini la cui vitalità comincia ad affievolirsi dopo aver scavalcato il lustro. Per l’aglianico invece mi era rimasta impressa una frase letta non ricordo dove…”va aspettato dieci anni“… Certo, mi si potrà controbattere dicendo che il nebbiolo in gioventù può risultare più godibile e immediato dell’aglianico: giusto, giustissimo. Preferenze, gusti, pazienza nell’attendere, punti di vista.

L’occasione per testare questa affermazione dei dieci anni mi si è presentata su un piatto d’argento quando ho trovato online  l’aglianico MEMINI di Guastaferro, annata 2005, giusto dieci anni di vita… ne avevo sentito parlare un gran bene e – complice un prezzo scandalosamente basso – ho deciso di togliermi questo dubbio.Il Memini, in latino “Ricordo”, è l’aglianico base di Guastaferro, ma di base non ha proprio nulla. I vigneti dai quali viene prodotto sono a oltre 500 metri slm e sono soggetti a una rigorosa selezione delle uve già sulla pianta. La vinificazione poi è piuttosto articolata, proprio per dare ampiezza, complessità e profondità al vino: dopo la fermentazione il vino passa dall’acciaio al legno grande dei tonneaux, per poi transitare nelle barriques di rovere francese e terminare l’affinamento in bottiglia, il tutto in tredici mesi (otto per il legno e cinque per il vetro).
Rubino alla vista: il decennio di vita lo si ritrova tutto nelle ampie tonalità granata dei riflessi. Il naso è un trionfo di profumi evoluti, di una profondità e intensità difficili da trovare in vini giovani: speziature dolci di sigaro, anice, coriandolo e prugne secche certificano la scomparsa delle durezze a beneficio di un sorso profondo eppure agile.
Il colpo di scena però lo riserva la mineralità, vellutata e carezzevole da ricordare i tuberi quali barbabietola e yuca (il platano cubano), ma ancora talmente viva e spiazzante da dare la sensazione di un vino… sì devo dirlo… frizzante!!! E ora insultatemi pure ed espelletemi dall’Ordine mondiale dei wine blogger!
Nel suo “viaggio evolutivo” il Memini ha terminato la salita dei primi anni di vita e ora viaggia a velocità di crociera sul quell’altopiano in cui i suoi profumi rimarranno così come sono per qualche anno ancora, prima dell’inesorabile ma tutt’altro che imminente discesa.
Che altro dirvi, ai ricercatori al lavoro sull’elisir di lunga vita suggerisco di studiare qualche pianta di aglianico, a tutti coloro che invece di aglianico posseggono qualche bottiglia consiglio di dimenticarla in cantina, tra dieci anni racconterà storie meravigliose…