Courtesy Walter Massa
|
Ci sono produttori di cui si sente parlare in termini quasi mistici, avvolti da un’aura tra il mitologico ed il leggendario. Walter Massa è uno di questi: protagonista del mondo del vino a suo insaputa, suo malgrado.
Walter è stato un precursore. Prima di lui la zona del tortonese – a destra dello Scrivia, a sessanta chilometri da Milano – coltivava perlopiù cortese e barbera. Gli anni successivi al secondo conflitto mondiale erano stati testimoni di una vera e propria decimazione dei vigneti di timorasso, un vitigno bianco autoctono la cui tradizione era pari solo alle difficoltà che si incontravano per ottenere costanza nel raccolto. E’ variabile, il timorasso. Rende poco. La muffa lo attacca facilmente. E così era quasi scomparso dalla ampelografia locale, soppiantato dal più costante cortese. Walter invece, agli inizi degli anni ottanta, è stato uno che ci ha creduto e non si saprà mai se si è trattato più di incoscienza che di coraggio vero e proprio. Ha accettato la sfida ed ha reimpiantato il timorasso, in quel di Monleale. Pazientemente, passionalmente Walter ha cercato la strada per vinificare quel vitigno così instabile e l’ha trovata, cavalcando da un lato la tecnica vera e propria, fatta di diradamenti e maturazioni sulle fecce nobili e dall’altro la capacità di comunicare il timorasso, di farlo accettare come il vero simulacro dei colli tortonesi.
Altri lo hanno seguito ed oggi grazie a lui ed altri produttori i Colli Tortonesi hanno un’identità fiera, costruita sui vitigni tradizionali, certo, ma con il contributo fondamentale di quel timorasso che meno di quaranta anni fa stava scomparendo immolato sull’altare del profitto. Dal 2011 i Colli Tortonesi hanno la DOC, senza dubbio anche per merito di Walter ma – badate bene – i vini di Massa non hanno la denominazione. Non serve, Walter fa vini buoni e la DOC non si beve.
Fin qui la storia.
Ottengo un appuntamento, se così si può chiamare, con Walter una mattina di maggio. Ci vuole qualche telefonata per sincronizzare i rispettivi impegni, mi dice subito che ha delle faccende da sbrigare ma i suoi modi spicci non mi urtano, anzi. Vorrebbe dedicarci più tempo, per chiacchierare, bere un calice insieme ed è sinceramente dispiaciuto di non poterlo fare.
Lo conoscevo di vista, avevo scambiato qualche parola con lui in occasione di qualche evento, ma sedersi in casa sua, respirare il suo ambiente, sentirlo parlare a ruota libera è tutta un’altra cosa. Le mani sono quelle di chi è abituato ad affondarle nella terra, gli occhi chiari rivelano nel volgere di uno sguardo il coraggio – o l’incoscienza – di cui parlavo prima. Alterna citazioni filosofiche a strofe di canzoni, si aggira per casa alla ricerca delle bottiglie da farci provare, torna a sedersi e schiocca una frase che è come una sentenza:
Io il vino non lo faccio, lo ottengo.
Bastano queste poche parole per intuire l’essenza del vignaiolo e dell’uomo, poiché in Walter Massa e in quelli come lui le due cose coincidono. Convivono come la spinta idealista che spesso gli accende lo sguardo e la concretezza tipica di chi conosce la fatica del lavoro. Un po’ filosofo, un po’ contadino.
Beviamo insieme tutto ciò che si può bere nei 15 minuti che può restare con noi: il Derthona 2013 affilato ed appagante, il Montecitorio 2012 più sapido e verticale. Poi il Pertichetta 2010, croatina tannica e fresca. Introduce L’avvelenata 2011, freisa ferma e decisa, citando ancora una mezza strofa dell’omonima canzone di Guccini:
… se avessi previsto tutto questo, dati causa e pretesto…
E poi Costa del vento 2012, timorasso di grande classe e persistenza. Ancora Sentieri 2013, barbera fresca e beverina come piacciono a me, diretta, senza fronzoli. Terminiamo con Bigolla 2004, la barbera proveniente dalle vigne più vecchie, invecchiata in barrique e destinata a sfidare il tempo. Un sferzata di profumi sinuosi e instancabile, un sorso succulento, largo e intraprendente. Un vino grande.
Walter si congeda rincorrendo il tempo: ci permette di bere ancora qualcosa anche in sua assenza. E mentre sta andando via e ci saluta svelto, io penso a tutto quello che non gli ho chiesto e avrei voluto, alla sua filosofia, alla sua praticità.
#personedivino