Era inevitabile che, prima o poi, anche su Appunti di degustazione si sarebbe parlato di Expo 2015.
Ora, non so voi come l’abbiate vissuta ma la maggior parte dei padiglioni che ho visitato mi è sembrata una mera vetrina autocelebrativa.
Ohh come siamo forti in questo… ohh come siamo fighi in quest’altro.
Cioè, architettonicamente parlando fantastico ma per il resto mi torna in mente la mia professoressa delle superiori quando mi diceva “bel compitino Scalici, peccato che sei andato fuori tema, gne gne!
Qua si parla di nutrire il pianeta non di sfoggiare le proprie arti in una sorta di autoacclamazione global!
Nutrire il pianeta per me vuol dire trovare soluzioni sensate per ridistribuire meglio le risorse alimentari dando alle popolazioni la possibilità di mangiare dato che una parte del mondo è obesa e l’altra invece muore di fame.
E poi c’è il padiglione della Svizzera…
Che poi lo svizzero, un po’ di invidia ci fa a noi Italiani, vero?
Ebbene anche stavolta loro hanno fatto le cose per bene inventandosi un padiglione che mettesse a disposizione un numero limitato di prodotti nazionali pret-a-porter alcuni rinnovabili e altri non, come le risorse naturali del nostro pianeta.
Nella prima sala scaffali interi di caffè solubile, nella seconda rondelle di mele disidratate tipo snack, nella terza sale delle Alpi, nella quarta bicchieri di plastica per l’acqua.
Il concetto quindi non è arraffare a man bassa un po’ di tutto ma prendere solo il necessario e lasciare a chi verrà dopo la sua parte.
Per la cronaca le mele e i bicchieri sono terminati da un pezzo…
Per fortuna non di sole mele vive il cittadino svizzero e lo scorso 12 giugno ce ne siamo accorti anche noi; il padiglione con la croce bianca è stato la location di eccezione per un evento di promozione di vini e prodotti alimentari della Svizzera Vallese.
E’ qui infatti che ho scoperto che il Vallese ha molto da offrire in termini enogastronomici: albicocche, formaggio raclette, pere Williams, pane di segale (presidio Slow Food), carne secca del Vallese, acqua del Cervino, zafferano di Mund… e uva ovviamente. Un vigneto di 7300 ettari non certamente esteso in termini assoluti ma enorme se calato nella realtà locale.
Storicamente legato alla Italia non solo per il commercio ma anche a livello ampelografico, il Vallese è terra di contrasti con vette altissime e dislivelli di oltre 4000 metri e microclimi eterogenei in valle. Si contano 45 vette sopra i 4000 e le più grandi riserve idriche d’Europa nei ghiacciai.
C’è così tanta acqua ,ci dicono, “che si potrebbe dare a bere a tutti gli abitanti della Terra per svariati anni”…
Marco Acher Marinelli, promotore dell’evento ci introduce all’aperitivo preparato da Julien Morand che propone un ottimo distillato e succo di albicocca e distillato di pera Williams. Molto buoni, e freschi entrambi anche se quello alla pera era bello tosto.
Nella saletta privata troviamo ad attenderci l’enologa Marie Linder e José Vouillamoz ampelologo, genetista e botanico che presentano tre vini vallesi abbinati ad altrettanti piatti.
L’Heida 2013 ad esempio viene accompagnato a cubetti di pera Williams in emulsione di raclette.
Vino tipico storico della zona che in dialetto tedesco significa “vecchissimo”, già citato fin dal 1586 da documenti locali è proprio il nome del vitigno e sinonimo di traminer anche se parliamo di un biotipo locale differente sia dal savagnin francese che da quello altoatesino.
Molto fruttato sulle nuance di pera e mela, ampio e ricco dalla struttura importante ha un finale molto persistente. L’abbinamento è ben riuscito perché la componente fruttata del vino accompagna quella del piatto e l’apporto alcolico asciuga la grassezza della raclette emulsionata.
Il secondo abbinamento vede il Syrah 2011 accompagnare una tartare di pane di segale e manzo.
Speziato e fruttato ha un bel naso caratteristico ed è dotato anche di buona bevibilità e freschezza; un po’ corto se vogliamo trovargli un difetto ma si difende bene nell’abbinamento.
Le api in etichetta rappresentano la dolcezza del vino |
In pieno contrasto con l’accademia torniamo infine al bianco con l’Amigne 2014 e julienne di albicocca e Robib (formaggio forte stagionato) su pane di segale.
L’amigne è un vitigno molto raro coltivato nel mondo in soli 40 ettari nel mondo le cui vigne sono quasi tutte concentrate nel paese di Vetroz.
Deriva dal latino amoenus ed è un’uva molto versatile, in grado di regalare vini secchi, morbidi e dolci.
Sa di tiglio e mandorle in bocca, ha un’acidità sostenuta e un’altrettanto evidente grassezza glicerica. Un bel vino sexy con una componente aromatica distintiva. Una chicca!