Vi parlerò di un libro. Di un libro e di un vignaiolo. Il vignaiolo non ha scritto il libro, c’è chi lo ha fatto per lui. Eppure in quelle pagine c’è tutta l’essenza del vignaiolo, la sua filosofia e la sua storia che l’autore ha ben interpretato e messo su carta, ben coadiuvato da un fotografo ispirato. È un libro lineare, sobrio eppure intriso di alcuni temi fondamentali, come l’importanza del tempo per chi fa il vino. Leggendolo è inevitabile fermarsi – tra un passo e l’altro – a riflettere.

Lo scrittore è Stefano Caffarri, il fotografo Alvise Barsanti, il vignaiolo è Joško Gravner ed il libro si intitola Gravner – Coltivare il vino:
martedì scorso alla libreria Centofiori di Milano, Jacopo Cossater ha moderato un incontro per la presentazione del libro, incontro a cui loro, che il libro lo hanno ispirato scritto e illustrato, erano tutti presenti. La sala era piena, con più di qualche volto conosciuto.

Stefano Caffarri ha esordito dicendo che 

I vini di Gravner sono vini che bastano a se stessi, compiuti come in fotografia. Nel libro siamo stati lontani dai tecnicismi, anzi abbiamo sposato la stessa filosofia di Joško: fare il meno possibile ma farlo bene. 
  
Joško Gravner interviene in punta di piedi, parlando quasi sottovoce e proseguendo:

Ringrazio mio padre che mi diceva “Dobbiamo fare poco e bene”, voleva dire non forzare nulla, io ero giovane volevo fare molte cose e gli dicevo che dovevamo fare tanto e bene. Ci ho provato a fare tanto e bene ma non ci sono riuscito. Aveva ragione mio padre. 

Joško fa una pausa, in sala c’è il silenzio assoluto.

Caffarri, Cossater, Gravner
Mio padre diceva che la ribolla è il nostro vitigno. E che è fondamentale produrre poco, pensare alla qualità non alla quantità. L’importante nel vino è seguire le intuizioni, il vino è nel pensiero. Stefano ha capito il mio pensiero e lo ringrazio di averlo interpretato per il libro.

Jacopo gli chiede come si arriva a capire che servono sette anni, come periodo perfetto per uscire col vino.

Joško risponde dà una risposta estremamente significativa, carica di contenuti e con il ruolo del tempo ancora in evidenza:


L’azienda non è solo mia, è di mio padre, è di mio nonno. Nel vino il tempo è il giudice più sereno. Aspetto sette anni perché non si può fare altrimenti, il vino è come un bambino e bisogna aspettare che diventi adulto, non c’è altro da fare. 

Quando si parla di trattamenti in vigna, Joško non le manda a dire:

Uso solo un po’ di zolfo. L‘industria tenta di indurre i vignaioli a interrompere l’uso della solforosa, perché costa due ero al chilo mentre l’alternativa che propongono, la lisozima, costa molto di più. Non si deve criminalizzare la solforosa, lo zolfo veniva usato come protettivo già dai Romani duemila anni fa.

Stefano sottolinea l’importanza dello strumento dell’assaggio, nelle varie fasi in cantina, in grado supera qualunque analisi.

Joško ribadisce:

Dal 2001 non controllo il grado zuccherino o la temperatura del mosto in fermentazione. Vendemmiando in ottobre ho dato tempo alla pianta di dare agli acini gli zuccheri di cui ha bisogno. Non si controlla, non si aggiunge nulla e non si toglie nulla. Quando Dio a scuola insegnava i sapori molti essere umani hanno marinato la lezione. Non si spiega perché continuano a bere certi vini, se voi vedeste il pigiato successivo a una vendemmia meccanica molti non berrebbero il vino che ne si ottiene. Finché potrò farò solo vendemmia manuale. 
E poi, un aneddoto sul “gusto internazionale”:
Negli anni 80 non ero contento nel mio vino, dopo un viaggio in California dove mi fecero bere un Sauvignon ottenuto con un aromatizzante sintetico, mia moglie Maria chiese “Cosa hai imparato a fare?” io ho risposto “Ho imparato cosa non devo fare!”. 

Ed uno da cui trarre preziosi insegnamenti:

Durante una grandinata ero fermo davanti alla finestra a imprecare, mio zio mi disse “Joško non imprecare, la natura ci dà tutto, ogni tanto ha diritto di prendersi qualcosa“. Non l’ho più dimenticato. 
Dal pubblico gli chiedono un commento sull’uso delle anfore.
L’uva nelle anfore è a proprio agio non c’è contenitore migliore della terracotta, penso che l’anfora sia il recipiente più idoneo perché ha seimila anni di storia. Nessun recipiente durerà così, nemmeno il legno, che pure ha 1300 anni.
Stefano Caffarri fa una riflessione pienamente condivisibile:
A proposito della mitologia del piccolo produttore e della sua fatica, in ogni vino c’è un pezzo del produttore, proprio come in ogni libro c’è un pezzo dello scrittore.

Courtesy A. Barsanti
Alvise Barsanti spiega che è stato difficile scegliere le foto da mettere nel libro poiché sono davvero tutte molto belle, nate in modo spontaneo. E sfogliando il libro ci accorgiamo che ha ragione, da vendere.
Il mondo di Joško Gravner è così. Stefano Caffarri ben lo ha decifrato e l’incipit del libro ne può dare un’idea, un po’ filosofica, un po’ razionale:
Non ho trovato un altro modo per raccontare Joško Gravner […] se non con una serie di cerchi: a volte eccentrici, a volte sbilenchi, a volte nascosti […]. Perché alla fine è il bicchiere che sigilla il Cerchio dei cerchi e contiene il tutto.”