Lunedì scorso, come promesso, mi sono ripresentato all’enoteca Vino al Vino di Milano mosso dall’irrefrenabile desiderio di conoscere meglio i “selossiani“, che non sono extraterrestri provenienti da un pianeta misterioso ma produttori in Champagne che hanno fatto propria la filosofia maestra di Jacques Selosse, presente con un vino nella line up della odierna degustazione. Gli adepti riconosciuti dalla casa di Avize sono solo tre: Jérome Prévost, Michel Fallon e Ulysse Collin. Due di questi sono in degustazione quest’oggi.
Ma chi è Selosse? e perché nel mondo dello champagne genera tanto interesse? Jacques Selosse e il figlio Anselme iniziano a vinificare per proprio conto già nel 1974 e si avvicinano alla biodinamica subito, quando non era nemmeno immaginabile ipotizzare una scelta del genere per puro marketing. La filosofia produttiva della casa si sposta nel tempo verso un progressivo “non interventismo“, vale a dire con il preciso precetto che ogni intervento dell’uomo è una ingerenza e dunque va ridotto al minimo indispensabile. Le vigne hanno una età media di circa quaranta anni e le rese sono davvero basse, in un contesto dove, invece, si tende ad alzarle spesso. Fermentazione con lieviti indigeni in barrique nuove al 10%, senza malolattica. Imbottigliamento tardivo e permanenza sur lies dai tre a i dieci anni.  Poco più di sessantamila bottiglie l’anno.  
Antonio ci espone quello che probabilmente è il principio cardine della produzione di Selosse: ottenere ottimi vini, prima ancora che diventino ottimi champagne. 

Una siffatta concezione di champagne produce bottiglie molto variabili: a prestazioni mirabili si alternavano performance deludenti, dovute molto spesso alla rinuncia della solforosa, il che comporta precoci invecchiamenti, qualche volta. L’incognita per certi versi può anche piacere ma può essere anche ciò che disturba il consumatore: non vi si possono ravvisare torti o ragioni, in questo. Tuttavia sembra che ultimamente Selosse stia leggermente correggendo tale imprevedibilità. 
   

Iniziamo le degustazioni con l’unico champagne odierno non selossiano, anzi per certi versi antiselossiano, pensato per possedere matrice di champagne e non di vino: Francis Boulard Brut Nature 2010, chardonnay in purezza, come tutti quelli della serata (ribattezzata per questo “Una serata in bianco“). Biodinamico, ventidue mesi sui lieviti, da sempre a Boulard viene riconosciuto il merito di fare grandi vini di espressione territoriale. Giallo paglierino intenso, bollicina fine e persistente, precede un naso franco di pasticceria, con lievi sbuffi agrumati. Il sorso è dotata di buona spalla acida, snella e droit (quanto mi soddisfa dirlo alla francese!). Finale non particolarmente lungo, ma per nulla penalizzato in questo. Mi è piaciuto molto. 

Il secondo champagne è di Michel Fallon di Avize, il Gran Cru Ozanne Brut. Michel è stato cantiniere di Anselme Selosse, motivo per il quale lo si considera il suo primo allievo. Vinificato in barrique. Giallo dorato, numerose bollicine ed esuberanti. Impatto olfattivo vanigliato e di biscotti e mandorle; in bocca ha volume, freschezza ed equilibrio, appagante e dotato di struttura piacevole ed insospettabile, forse, per un blanc de blanc. Finale lungo e piacevole. 



















Chartogne – Taillet si trova a Merfy, sulle montagne di Reims, nella zona probabilmente più fredda dello champagne, il massiccio di Saint Thierry. Heurtebise 2008 è un brut dal dosaggio comunque molto basso, circa 1,5 g/l; si presenta di un bel giallo dorato, perlage continuo. Naso burroso, cui seguono note di canditi e scorza di pompelmo. Al gusto è fresco e piacevolmente sapido, tuttavia ho l’impressioni che sgomiti un po’ nelle componenti energiche, non perfettamente integrate. Antonio ci confida una sua impressione: dei selossiani è quello più tendente allo champagne, che al vino. Un finto alternativo?   

A seguire Antonio stappa l’Extra brut Les Roises di Ulysse Collin, sboccatura marzo 2012. L’azienda possiede poco meno di nove ettari nella zona di Congy, nelle Marne, e si tramanda di padre in figlio da molte generazioni. L’impennata qualitativa della produzione è stata resa possibile da Olivier Collin, che fece apprendistato presso Selosse: nel 2003 decise di disdire il contratto di affitto dei vigneti con la Maison Pommery e vinificare in proprio. Giallo dorato  intenso, probabilmente frutto di una lunga macerazione; matrice essenzialmente vinosa, con limitata mineralità ed accenno ossidato. Finale in linea con l’assaggio, armonico ed elegante. I miei compagni di degustazione concordano unanimi nell’assegnare alla bottiglia il “Premio estetica” della serata. 









Last but not least, si stappa Jacques Selosse Grand Cru Extra brut Lieux dits. Giallo dorato, effervescenza non abbondante eppure persistente. All’olfatto è una sorpresa: il primo impatto è lievemente floreale, tuttavia progredisce verso sentori di funghi porcini secchi, si percepisce una nota ossidativa integrata e dinamica. Lo bevo curioso: freschezza in evidenza, delicato volume carbonico, dinamico anche in bocca, ove progredisce in mineralità, trasformandosi gradualmente da champagne a vino, specie dopo qualche minuto di sosta nel calice.            
Le serate dedicate da Vino al vino allo champagne alternativo si sono concluse. Devo ammettere che non mi sono fatto una idea particolarmente precisa, salvo quella, soggettiva e per questo insindacabile, del mio gusto. In futuro sceglierò uno champagne come ho sempre fatto, con la voglia di scoprire, se vorrò scegliere una bottiglia inedita o con il desiderio di conferma, se per una sera vorrò farmi coccolare da qualcosa che ho già provato e che mi è piaciuto. 
Se è alternativo o no, sarà argomento di piacevole discussione, mentre lo si beve.
Prosit!