Conoscevamo Sorgentedelvino Live sin dall’anno scorso, quando si tenne presso la Rocca Anguissola Scotti – Gonzaga, ad Agazzano. Quest’anno gli organizzatori hanno hanno preferito privilegiare una location più centrale e quindi più facilmente raggiungibile: il Bastione di Porta Borghetto, raggiungibile facilmente in poco più di venti minuti di camminata tranquilla dalla stazione ferroviaria. Gabriele ed io, infatti, prendiamo il treno da Milano Lambrate e in un’ora e mezza scarsa siamo già sul posto. Il primo impatto ci lasciava, tuttavia, un po’ perplessi; scopriremo in seguito che non saremo i soli. Il perché risiede nella posizione assegnata ai produttori: alcuni, più fortunati, si trovano al livello superiore, in un grande salone illuminato o in  tre aree comuni ben arieggiate. Ad altri, invece, è toccata in sorte la permanenza al piano inferiore, all’interno di quelle che sembravano celle, non so dire con precisione con quale funzione precisa. Orientarsi tra scale e corridoi non è immediatamente intuitivo, tuttavia al desk distribuiscono una piantina con la quale si può individuare il produttore che si sta cercando. Superato il primo momento di incertezza, iniziamo spediti con le degustazioni. Siamo carichi e molto recettivi. Al termine della giornata conteremo più di quaranta assaggi complessivi, distribuiti tra venti aziende; non giudicateci, vi prego: avremmo potuto farne molti di più ma la valutazione gustativa si sarebbe liquefatta in un paio d’ore, depauperando (amo dire parole di cui conosco appena il significato) nelle ore successive quanto di buono recensito nelle prime due. Scriveremo solo degli assaggi che ci hanno più convinto o che comunque meritano una nota per i lettori.

Pronti per Sorgente del Vino

Il tempo atmosferico è clemente: buona temperatura e niente pioggia, e in questi giorni è quasi una notizia. L’atmosfera, in senso sociale, è altrettanto positiva. Non c’è troppa gente, c’è una buona elettricità.

La prima azienda di cui parleremo è Le Barbaterre, sita in Bergonzano di Quattro Castella, nel reggiano. Il claim dell’azienda è tutto un programma: Vini come Bio comanda. Applausi! Proviamo L’Orlando, un Metodo classico di Pinot Nero, brut nature, millesimato 2010: buon aspetto olfattivo, in bocca è sapido e minerale. Molto piacevole. Subito dopo è il turno de L’Angelica, metodo classico, Pinot Nero vinificato rosè, naso di fiori e mela verde, anche questo sapido e minerale, gusto morbido e fine. Terminiamo il giro con il pezzo forte della casa, il Lambrusco Le Barbaterre, ottenuto con rifermentazione in bottiglia; è il mio turno di scribacchino, tra le note ho aggiunto “rifermentazione con il mosto”. Probabilmente, se non è così invito il produttore a rettificare, la rifermentazione si ottiene con l’aggiunta del mosto originario: si presenta petillant, naso di violette e ribes, gesso e lavagna; gusto secco, piacevole e per nulla scontato. Ci piace.
Il line up di Le Barbaterre
La seconda azienda è quella di un produttore che ci è entrato nel cuore: Emidio Pepe, sita a Torano Nuovo, in provincia di Teramo. Ci accolgono Sofia e Fabio, ci sottoponiamo molto volentieri alla batteria dei prodotti di colui che è considerato l’artigiano del vino in Abruzzo. In questo blog avevamo già trattato il Montepulciano d’Abruzzo 2005, presente anche in questa occasione. Due parole sull’azienda: produzione estremamente sensibile ai metodi naturali, senza uso di chimica in nessuna fase. Quindici ettari totali, raccolta a mano, selezione manuale delle uve e – udite udite – pigiatura con i piedi, esattamente come si faceva una volta! Standing ovation! Fabio ci racconta che spesso invitano i più scettici a partecipare alla vendemmia e verificare di persona il reale ricorso a questo metodo di pigiatura; anche se ci crediamo e non necessitiamo di verifiche, Gabriele ed io ci offriamo volontari per vivere questa esperienza! La fermentazione avviene spontaneamente: i lieviti della cantina Pepe, selezionatisi in modo naturale nel corso di quaranta anni, sono forti e vigorosi e perfettamente in grado di avviare il processo fermentativo. Successivamente il vino affina in vasche di cemento, ove riposa: il Trebbiano per sei mesi, il Montepulciano d’Abruzzo per due anni. Dimenticavo: nelle cantine Emidio Pepe non si aggiunge solforosa, ça va sans dire.
Emidio Pepe e Gabriele al VinItaly 2013
Fabio ci propone il Trebbiano 2010: vinificato in purezza, naso pulito, nitido di fiori gialli, litchis e mela verde, sbuffo agrumato; in bocca è morbido e fresco, inaspettatamente lungo e sapido. Subito dopo è il turno del Trebbiano 2009: naso evoluto, percezione ossidativa, frutta secca, sottobosco, quasi muschio. In bocca si esprime molto bene, con carattere pieno, struttura snella eppure fresco e complesso. In seguito Sofia ci propone la serie di Montepulciano d’Abruzzo: l’annata 2009 rivela naso fragrante di frutti rossi in confettura, leggera speziatura; al gusto equilibrio, freschezza e tannino armonico, integrato e centrale.  Il campione del 2005 manifesta le stesse caratteristiche del vino descritto nel link relativo alla degustazione dedicatagli, che consiglio di andare a consultare. Il giro termina con un vecchietto ancora in forma strepitosa: Montepulciano d’Abruzzo 1983. No, non ho sbagliato a digitare: 1983!!! Aspetto ancora vivo e giovanile, rosso granato tendente all’aranciato tuttavia vivido e  luminoso. Al naso esprime poesia & musica: rabarbaro, scatola di sigari, polvere di caffè, tutta una compilation di terziari, alcuni dei quali sconosciuti ai più, persino a me. Al gusto strofe tanniche accompagnate da accordi di armonia gusto-olfattiva, un vero trampolino per il paradiso. Vino aristocratico, sontuoso e affascinante, non dimostra affatto trenta anni e per di più manifesta intatto potenziale evolutivo. Standing ovation di venti minuti e genuflessione di reverenza!!! Sofia ci spiega che il 1983 è stato per loro come il figliol prodigo: nato sotto una cattiva stella che lo ha reso irruente fu costretto, per ciò, a dieci interminabili anni di purgatorio in bottiglia, a scontare i peccati tannici ed esuberanti. Oggi è un capolavoro per il quale almeno noi che lo abbiamo bevuto ci sentiamo, per un attimo, nipoti acquisiti del grande Emidio. 
Lasciamo l’Abruzzo per spostarci nelle vicine Marche dove ci aspetta l’azienda Maria Pia Castelli, sita a Monte Urano, in provincia di Fermo. Massimo ci racconta di una azienda di otto ettari a duecento metri sul livello del mare, del terreno argilloso e ricco di ferro e magnesio. Rapporto con le vigne assolutamente naturale e rese bassissime: 35 quintali per ettaro. Proviamo Stella Flora 2009, uvaggio di pecorino, passerina, trebbiano e malvasia di Candia. Affina diciotto mesi in botte piccola ed altrettanti in bottiglia: ci dona complessità olfattiva da erbe aromatiche e camomilla, gusto rotondo, ottima bevibilità.  
Allontanandoci un po’ verso nord ci imbattiamo nel banchetto di Dario Princic; azienda proiettata alla natura e produzione che adotta le classiche pratiche tipiche di chi tende a un vino sincero:   vendemmia manuale, nessuna filtrazione, macerazione prolungata e, credo, zero solforosa. Proviamo con soddisfazione, tra gli altri, il merlot: affina cinque anni in botte grande e sei mesi in inox. Ci spiegano che, decidendo di non filtrare, il percorso in inox è quasi obbligatorio per ottenere una sorta di chiarifica naturale per decantazione. Lo assaggiamo: è molto gradevole, alcol integrato e frutto nitido ma restiamo perplessi davanti al prezzo. 
Un nostro amico, tale Michele, ci contatta e dice “Andate a provare i vini di Togni Rebaioli, poi mi direte”. Michele gode di un buon credito per cui decidiamo di testare la dritta. Al banchetto ci aspetta Enrico Togni. La sua storia è quella di un ragazzo coraggioso che ha deciso di abbandonare un futuro accademico in favore di un presente fatto di levatacce mattutine, schiene spezzate e tanti sacrifici. L’azienda ha pochi ettari in Val Camonica ed ha puntato sulla rivalutazione dei vigneti esistenti e sulla vinificazione rispettosa dell’ambiente. Gli assaggi che citiamo sono due: il merlot Rebaioli Cavalier Enrico 2009, equilibrato, composto e sapido, di ottima beva ed il Vidur, barbera in purezza dinamica e dritta. Piccola chicca: nota di merito per il campione degustato di erbanno, vitigno autoctono dalla forte impronta erbacea. Bravo Enrico e bravo Michele. 
Torniamo al Centro Italia:  tra i banchetti ritroviamo una vecchia conoscenza, Andrea Occhipinti con il suo Alea Viva, di cui abbiamo già parlato qui. L’azienda di Gradoli cerca di tutelare i vitigni autoctoni della zona, l’aleatico ed il grechetto rosso e, dobbiamo dire, ci riesce piuttosto bene. Nota di merito per l’aleatico passito MontemaggioRe, ottenuto da uve appassite in pianta: leggero, fresco e gradevole ha il grande merito di non stancare il palato, impregnandolo con delicatezza. 
I vini di Occhipinti
Conclusioni: evento sostanzialmente riuscito, è stata una occasione per rivedere vecchi amici e farsene di nuovi. Location da rivedere: è facilmente raggiungibile ma i sacrificati al piano inferiore non ci sono sembrati molto entusiasti. Livello qualitativo generale decisamente alto, densità di afflusso moderata (almeno la domenica) e spazi che consentivano di degustare in tranquillità. 
                                       

Francesco Cannizzaro