Se c’è una cosa che ho sempre odiato con tutto me stesso sono le serate dress code, che trovano la loro massima espressione negli angelici white party. Va bene andare a un evento con un abbigliamento decente, va benissimo vestirsi in linea col blasone del locale e degli invitati, ma perché mai devo andare in un posto, pagare ed essere pure obbligato a vestirmi come decide l’organizzatore?! Aspetta aspetta, come era il ritornello della canzoncina di Alberto Sordi?
Te c’hanno mai mannato a quer paese… sapessi quanta gente che ce sta…
Te c’hanno mai mannato a quer paese… sapessi quanta gente che ce sta…
Capirete bene dunque il mio attacco di orticaria quando ho letto Go White “tutti i colori del bianco“… Ah, c’è il logo con gli acini e il calice, giusto, il VINO bianco! Ma allora gaudio, giubilo, tripudio, posso andarci vestito da normale essere umano!!!
La serata organizzata lunedì scorso da Go Wine nell’ormai collaudata sala dell’Hotel Michelangelo è un parco divertimenti per bianchisti incalliti e così, mentre decido su quale giostra salire, mi sovviene un atroce dubbio: ma perché il vino è chiamato bianco quando invece il suo colore è giallo o tutt’al più arancione? No no, Marzullo esci da questo corpo e ai posteri (o ai lettori) l’ardua sentenza.
Ma veniamo al dunque e spendiamo due parole sui vini che più ci sono piaciuti. Prima di cominciare lasciatemi ringraziare Anna Gelmetti per il supporto tecnico-nozionistico.
In barba all’ordine alfabetico cominciamo dalla sempre bistrattata Z di Zidarich con la sua Vitovska 2013 e 2009 (faccio pubblica ammenda per aver smarrito la foto).
Non c’era produttore e il sommelier non era tanto loquace: poco male, risulta piuttosto palese che la 2009, ancora sapida, coerente, fresca e lunga, risulti più equilibrata della 2013, di certo più esuberante nelle espressioni floreali, di frutta caramellata e macchia mediterranea, ma ancora in crescita, della serie il saggio e l’apprendista.
In barba all’ordine alfabetico cominciamo dalla sempre bistrattata Z di Zidarich con la sua Vitovska 2013 e 2009 (faccio pubblica ammenda per aver smarrito la foto).
Non c’era produttore e il sommelier non era tanto loquace: poco male, risulta piuttosto palese che la 2009, ancora sapida, coerente, fresca e lunga, risulti più equilibrata della 2013, di certo più esuberante nelle espressioni floreali, di frutta caramellata e macchia mediterranea, ma ancora in crescita, della serie il saggio e l’apprendista.
Rimaniamo alla stessa latitudine ma più a ovest, nel Canavese, dove Cieck ha proposto una verticale di Erbaluce nelle diverse tipologie: metodo classico, fermo, vendemmia tardiva, passito. Vitigno jolly, molto interessante proprio perché si presta con buoni risultati in tutte le tipologie.
Il San Giorgio 2011 è un metodo classico che sosta 36 mesi sui lieviti, paglierino con lampi di verde alla vista, esprime in bocca fiori gialli, crosta di pane e rosmarino, chiudendo con un leggero retrogusto amaricante.
Decisamente più interessante e convincente l’altro metodo classico, il Calliope Brut. Paglierino quasi dorato, matura per il 30% in barriques per 6/7 mesi ma il legno fa il suo lavoro con pregevole discrezione. Il millesimo è il 2011 e, come per il San Giorgio, i mesi sui lieviti sono 36. Le similitudini finiscono qui perché il Calliope si presenta con profumi più intensi e una struttura più robusta, sorretta da una ferma acidità, decisamente fresco, persistente e lungo. Una bollicina cazzuta insomma.
Misobolo 2015 è il bianco fermo della compagnia. Al naso sembra quasi riesling per il profumo erbaceo/vegetale che sprigiona ma la parte fruttata fuga ogni dubbio “teutonico”. Particolare lo sviluppo dell’assaggio che parte con un ingresso in bocca morbido, dolce e avvolgente, per virare poi su note via via più amare. Grande persistenza, può migliorare ancora e ancora…
T è una vendemmia tardiva di fine ottobre (mentre normalmente la vendemmia di Erbaluce si fa a metà settembre), vinificato secco con 6/8 mesi in botti grandi a tostatura leggera. No, nessun segno di opulenza, i profumi erbacei e floreali sono semplici eppur profondi, l’assaggio è intenso ma fresco e piacevole.
Alladium è infine il nome dei due passiti: il 2007 color topazio, dal naso leggermente ossidativo, sprigiona netta la noce ma anche muschio e miele, unitamente a sfumature eteree.
Il 2004 invece è una riserva di un color ambra più scura rispetto al precedente. Funghi, miele e tripudio di terziari, mantiene ancora un’ottima acidità pur essendo maggiore la percezione alcolica.
Rimbalziamo di nuovo a nord est dalla Cantina Meran e due suoi bianchi. Il Kerner 2015, intenso e minerale, ha un forte impatto idrocarburico, sviluppandosi su toni agrumati di pompelmo e poi mapo. Da manuale la corrispondenza gusto-olfattiva. Finale lungo lungo ma soprattutto vino buono buono.
Il Goldmuskateller 2015 invece non fa nulla per nascondere l’aromaticità del vitigno, ma completa l’assaggio con piacevoli effluvi di fiori di tiglio, corredati da buona acidità e sapidità.
Chiusura tutta meneghina con i bianchi frizzanti di Faverzani, la Verdea (vitigno locale) e la Malvasia. Entrambi freschi, puliti nei profumi e beverini come pochi. Se l’imminente estate, a detta dei vari meteo, sarà la più calda dal paleozoico ad oggi, munitevi quanto prima di qualche cassa di questi due IGT “Collina del Milanese”: saranno una valida alternativa all’evergreen Prosecco, nonché una piacevolissima compagnia.