… larga è la via. 

Amiche ed amici di Appunti di degustazione. 
Voi tutti conoscete – e se non ne eravate al corrente vi informo ora – il mio amore per il pinot nero. Bella forza, il pinot nero! Più volte ho scritto che uno dei miei maestri sulla strada del vino, Antonio, mi trasmise il dogma “Il pinot nero o si ama o si odia, non esistono mezze misure“. Confermo totalmente, questa volta con un po’ più di consapevolezza di quando me lo disse (sarà stato 2008 o giù di lì).
Le origini del vitigno affondano le radici – trattandosi di un vitigno mi pare appropriato – nelle terre di Borgogna, allorquando veniva coltivato già prima dell’arrivo dei Romani.
Il suo caratteraccio è noto a tutti: cresce dove vuole, come vuole e nemmeno tutti gli anni con la medesima resa. Muta geneticamente con grande facilità: pensate che il pinot nero è parente stretto di oltre mille diversi cloni, tra cui i famosi grigio, bianco e meunier.  
Se la Borgogna è la capitale mondiale del pinot nero, in Italia c’è una regione vitivinicola che supera tutte le altre, in termini di qualità. Ho assaggiato dei buoni pinot nero toscani, anche piemontesi ma la classe e la riconoscibilità di quelli altoatesini, beh… quella ancora non si può raggiungere.
Il cru Mazzon, in particolare, è considerato il vigneto simbolo del pinot nero italiano: sito nel Comune di Egna, tra i 300 e i 450 metri sul livello del mare, rappresenta il tempio naturale della migliore espressione italica del vitigno. 
Tra i pochi fortunati proprietari di uve a Mazzon vi è Ferruccio Carlotto, che dal 2000 vinifica in proprio, coadiuvato dalla figlia Michela.
Una bottiglia del loro pinot nero, annata 2013, era nella mia cantinetta. Era, già. Perché una bottiglia del genere non poteva rimanere intatta a lungo. Non ho avuto nemmeno bisogno di crearmi una scusa per aprirla: la volevo e basta. 
Il colore, così luminoso, già mi invita alla beva: se affondo il naso nel calice colgo un raffinato bouquet, che riconoscerei ovunque. Non è un naso di pinot di Borgogna, no. Meno animale, frutto più nitido, forse: ma non scimmiotta nessuno. È pinot nero di Mazzon, punto e basta. Il sorso è caldo e avvolgente, intenso e dinamico come piace a me. Gli perdono un tannino ancora leggermente ruvido, ma è questione di lana caprina, perché non c’è nulla che non mi piaccia in questo vino.     
Se non lo avete capito, tornando alle parole del sommo maestro Antonio, io il pinot nero lo amo. 
La mia l’ho detta.