surriscaldamento globaleCon l’arrivo della vendemmia si ripropongono con maggiore frequenza i temi sul clima, del surriscaldamento globale e le relative ripercussioni sul mondo agricolo. È un argomento attuale, che agita il dibattito specialmente alla voce “Risposte e soluzioni“, avendo già lasciato alle spalle la voce “Cause ed effetti“.

Non dobbiamo dimenticare che la vite è una pianta molto sensibile alle variazioni climatiche. È uno dei motivi per cui le vendemmie sono diverse da un anno all’altro e da un territorio all’altro: la variabilità che rende affascinante il vino.

Per questo il mondo vitivinicolo deve muoversi in fretta, muovendosi tra ipotesi degne di ascolto e soluzioni al limite della stregoneria. 

 

Nuove temperature, nuove varietà, nuovi territori

Dal 1981 al 2007, l’innalzamento delle temperature ha provocato un anticipo nella vendemmia di circa due settimane. È il risultato di uno studio di Benjamin I. Cook e Elizabeth M. Wolkovich pubblicato sulla rivista Nature Climate Change: il cambiamento climatico ha sostanzialmente alterato i tempi di maturazione in quasi tutti i Paesi europei, con notevoli ripercussioni sulla qualità del prodotto finale. 

La geografia del vino potrebbe cambiare. Il pinot noir per esempio, a causa della sua limitata capacità di adattarsi, probabilmente sarà il vitigno più colpito dai cambiamenti climatici: zone come la Borgogna entro cinquanta/cento anni anni non saranno più patria di pinot noir, ma di varietà più mediterranee, come syrah o grenache. Sembra uno scenario apocalittico.

Di conseguenza, Paesi che fino a oggi si ritenevano incompatibili come la Cina, la Tasmania e il Canada potrebbero essere in futuro i nuovi territori dove coltivare uve pinot nero. Non è la prima volta che il pinot trasloca: nello Champagne durante la piccola glaciazione (dal XIV al XVIII secolo) al suo posto e di altre varietà originarie furono introdotti lo chardonnay e il gouais blanc.

Anche nella zona di Victoria, in Australia, le cose stanno cambiando: i vitigni provenienti dalle regioni continentali europee stanno scomparendo, a favore di varietà quali il montepulciano, il nero d’Avola, l’aglianico.

Negli ultimi trent’anni, nel Regno Unito, la terra coltivata a vigneti è aumentata del 148%: ho personalmente provato dei metodo classico inglesi, specie dell’East Sussex, ed era difficile distinguerli dagli champagne. Lassù qualcuno ha imparato a fare il vino e il cambiamento del clima farà il resto: nel futuro delle bollicine sventola l’Union Jack.

Delle difficoltà del pinot ce ne siamo accorti anche in Italia: in Trentino, nella Val di Cembra, per mantenere freschezza e acidità ai vini base spumante, le uve chardonnay e pinot nero vengono spostate fino a quota 600 metri.

Si stanno studiando modifiche della forma di allevamento, prediligendo, per esempio, spalliere più alte e più distanti dal suolo; sarà molto importante valutare come fare la potatura verde, poiché una diversa architettura fogliare può preservare l’uva da eccessive esposizioni solari.

 

Più caldo, meno uva

La vite è sensibile, lo abbiamo già detto: ma in termini pratici avere temperature più alte cosa comporta? Di fatto aumenta il rischio che la pianta si ammali, magari di patologie che la vite non aveva mai contratto prima, mentre le malattie tipiche di ambienti umidi come la peronospora si riducono notevolmente, specie se interviene anche la siccità.

Ma non solo: il surriscaldamento apporta modifiche geologiche, con l’aumento della possibilità di inondazioni ed erosione.

Nel caldissimo 2003 la produzione in Borgogna crollò del 30% (sì: trenta per cento): le primissime stime in Italia per quest’anno, caratterizzato da temperature spesso molto alte, danno una produzione ridotta del 20% rispetto all’anno scorso con difficoltà evidenti per il raggiungimento della maturazione fenolica.

 

E cambia anche il gusto del vino

L’anno scorso il climatologo Bernard Séguin rivelò uno studio secondo il quale la temperatura dei grandi vigneti del mondo è aumentata di due gradi in questi ultimi cinquanta anni ed è destinata a salire ancora. La circostanza influisce sulle proprietà organolettiche del vino, perché sappiamo bene che temperature più calde significano più zucchero e quindi più alcol.

Non è un problema secondario, anche perché, dopo decenni di vini ciccioni e marmellatoni, il mercato sta (finalmente) andando verso la ricerca di un gusto fondato più sulla leggerezza e sulle sfumature.

L’alcol agisce sul gusto del vino apportando innanzi tutto una sensazione che si definisce pseudocalorica, ma non solo. Ha un sapore, tendenzialmente dolce e influisce anche l’aspetto olfattivo. L’alcol infatti è volatile ed è un coadiuvante importante per l’ascesa al naso delle sostanze aromatiche: un vino povero di alcol, di solito, è meno profumato di uno che ne è ricco.

La componente alcolica influenza persino la percezione tattile, regalando più morbidezza al sorso. Ma troppa rotondità rischia di appiattire il gusto e rendere il vino monocorde.

Il surriscaldamento quindi rischia di trasformare l’alcol da amico a nemico e di sparigliare le carte nel complicato mercato vinicolo.

 

La scienza ci aiuterà

Attilio Scienza

Attilio Scienza

Il professore Attilio Scienza, Ordinario di Viticoltura presso l’Università degli Studi di Milano, sostiene che la viticoltura ha sempre fatto i conti con i cambiamenti climatici, senza per questo soccombere. Secondo Scienza il surriscaldamento può anche essere una opportunità, se si riuscirà a far dialogare l’innovazione scientifica, il viticoltore e la condivisione con il consumatore.

La parola chiave è resilienza, la capacità di adattamento dei vigneti, insieme ad altri traguardi: lo sviluppo di programmi di miglioramento genetico per l’adattamento al cambio climatico e lo studio del potenziale ambientale per ridurre gli effetti negativi del cambiamento (la nota zonazione).

Scienza ha recentemente dichiarato a Winenews:

Avere la disponibilità di un miglioramento genetico nel più breve tempo possibile è importante  per ottenere varietà in grado di mantenere livelli di acidità anche con il caldo, sopportare temperature torride, la forte luminosità e lo stress idrico. E questo vale anche per i portainnesti, che dal tempo della fillossera sono poco evoluti

L’approccio del professore mi sembra molto sensato. Diceva Francesco Bacone:

Non si comanda alla natura se non assecondandola

Il trend climatico non si potrà variare: occorrerà puntare sulla biodiversità, sulla tecnologia e l’esperienza. Per continuare a bere vino che forse sarà diverso, ma – si spera – rimanga sempre di qualità.